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giovedì 30 marzo 2023

I ROSACROCE TRA LEGGENDA E REALTA’ .

La profezia di Paracelso

Prima di morire Paracelso aveva profetizzato che nel 1572 sarebbe passata sopra la terra una cometa, annunciatrice di profondi cambiamenti nel mondo. La nuova “riforma magica” sarebbe stata apportatrice di pace e tutti gli uomini saggi avrebbero lavorato insieme per il bene dell’umanità. Sull’onda di questa idea nacquero alcune società iniziatiche, come i “Fratelli della Croce d’Oro”, fondata da Agrippa, e la “Milizia evangelica” di Lunenburg. Ma fu solo nel 1614 che apparve un libretto, la Fama Fraternitatis, cui seguì la Confessio Fraternitatis, che erano il manifesto, comprendente tutti i principi dell’Ordine, della società iniziatica dei Rosacroce.
(Nell’immagine a lato, Paracelso).   
I Rosacroce sono la setta segreta che ha destato il più grande interesse popolare, perché la più misteriosa; il nome deriverebbe dal fondatore dell’ordine, Christian Rosenkreutze, figura mitica che ha fatto discutere a lungo gli storici sulla realtà della sua esistenza.
I Rosacroce si manifestarono al mondo nel 1614, quando nelle città di Kassel e di Strasburgo fu pubblicata la Fama Fraternitatis, che riportava il messaggio di un anonimo adepto di questa fratellanza iniziatica, che cercava il rinnovamento morale per arrivare alla perfezione, ottenibile in concomitanza con una serie di riforme. Vi si narrava la storia di Christian Rosenkreutze, nato nel 1378 da una povera famiglia tedesca ed educato in un convento, che aveva lasciato per viaggiare per il mondo ed in particolare in Oriente; a Damasco aveva ricevuto conoscenze segrete da un gruppo iniziatico che aveva la sede principale nella inaccessibile città di Damcar, in Arabia.
Tornato in Germania, Christian aveva fondato un’associazione con quattro amici, legati da un giuramento di fedeltà e di silenzio, allo scopo di dedicarsi alla cura dei malati. 
Col tempo i membri erano diventati otto; abitavano in varie parti del mondo e si riunivano una volta l’anno in una casa chiamata “Dimora dello Spirito Santo”, per parlare delle proprie esperienze e fare insieme progetti per il futuro. 

Christian era morto nel 1484, alla bella età di centosei anni, ma la sua tomba era stata scoperta solo nel 1604: coloro che vi erano entrati l’avevano vista illuminata di una luce sovrannaturale e piena di libri di magia, alcuni di autori che non erano ancora nati ai tempi della morte di Christian.
Nel frattempo i Rosacroce si erano moltiplicati, costituendo una vera e propria confraternita; essi non vestivano in modo particolare, adattandosi agli usi del paese che li ospitava; avevano in odio la lussuria, erano buoni cittadini, riconoscevano la supremazia dell’Impero Germanico e facevano voto di aiutare tutti coloro che erano degni, servendo Dio e sostenendo il progresso della conoscenza; per loro religione e scienza non erano agli antipodi, ma si completavano a vicenda.
Nel 1615 uscì la Confessio Fraternitatis Rosae Crucis, indirizzata ai sapienti europei, che spiegava i gradi iniziatici e scopriva i suoi netti caratteri protestanti; l’anno seguente uscì l’ultima parte del libello, Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutze, forse il più interessante dei tre, un romanzo iniziatico che descriveva l’illuminazione di Christian Rosenkreutze e illustrava le basi della spiritualità rosacrociana.
Un così straordinario programma di vita creò un incredibile fermento fra gli intellettuali europei, che si divisero in due gruppi, uno di critica ed uno a sostegno delle teorie enunciate. L’ideale dei Rosacroce incarnava benissimo l’inquietudine, le speranze di miglioramento, la voglia di cambiamento e di riforme che agitavano non solo la Germania, ma tutta l’Europa. Affascinò talmente gli ingegni dell’epoca che Cartesio cercò invano degli adepti per farsi iniziare alla setta. Le polemiche sulla confraternita si sprecarono; alcuni affermavano che i Rosacroce non esistevano, altri che esistevano ed erano seguaci di Paracelso; per alcuni era tutta un’invenzione del pastore luterano Giovanni Valentino Andreae; per altri erano falsi Rosacroce, perché quelli veri erano nati a Lunenburg nel 1598, sotto il nome di “Milizia Crucifera Evangelica”. Il massimo della fantasia fu la versione che i Rosacroce, stanchi della incredulità degli Europei, erano emigrati in India ed erano divenuti fondatori di una setta di buddhismo esoterico. 
Da allora molti affermarono di essere iniziati Rosacroce.
Nel 1629 il curato di Gisors, in Normandia, Robert Deyau, scrisse una storia della cittadina e della famiglia de Gisors, affermando categoricamente che la società dei Rosacroce era apparsa al mondo profano da pochi anni, ma in realtà era stata fondata nel 1188 da Jean de Gisors e che era collegata con l’Ordine di Sion, un misterioso ordine iniziatico segreto che avrebbe dato vita anche ai Templari. Se ne è parlato di recente, perché sembrava essere collegato con la notissima vicenda di Rennes-le-Château, prima che si scoprisse che quello di Rennes (il Priorato di Sion) era pura invenzione. L’Ordine di Sion sarebbe stato fondato attorno al 1090 da Goffredo di Buglione, il conquistatore della Terrasanta. Gli adepti avrebbero poi preso il nome dall’abbazia di Nostra Signora di Sion, costruita dopo la conquista di Gerusalemme sul monte Sion, a sud della città, sulle rovine di una chiesa bizantina precedente del IV secolo, chiamata “Madre di tutte le Chiese”. 
Un cronista la descrisse nel 1172 come un luogo molto ben fortificato, organizzato e autosufficiente.
A Goffredo fu offerto il titolo di Re di Gerusalemme, ma egli lo rifiutò umilmente, preferendo accettare quello di “Difensore del Santo Sepolcro“; quando morì, nel 1100, lo stesso titolo fu offerto a Baldovino, suo fratello minore, che divenne Re col nome di Baldovino I. Due dei membri dell’Ordine di Sion, de Payen (De Pagani) e de Montbard, fondarono l’Ordine dei Templari, che lavorò in parallelo con l’altro ordine fino al 1187, quando Gerusalemme cadde ed i due ordini si divisero.
L’Ordine di Sion lasciò la Terrasanta e si trasferì in Francia; prese allora il nome definitivo di Priorato di Sion, assumendo come sottotitolo “Ormus-Ordre de la Rose-Croix“; da qui la teoria che essi fossero i precursori dei Rosacroce. Per quel che riguarda invece l’altro nome, un’antica tradizione parla di un saggio di fede gnostica, Ormus, nato ad Alessandria d’Egitto, che nel 46 d. C. aveva fondato, con altri sei seguaci, una piccola confraternita di iniziati, che aveva come simbolo una croce rossa ed una rosa. Convertitisi al Cristianesimo ad opera di San Marco, questi iniziati avevano poi diffuso idee che erano una mescolanza di gnosticismo e Cristianesimo, oltre che di dottrine iniziatiche ermetiche e pitagoriche, che in quel periodo erano diffusissime ad Alessandria. Il nome Ormus figura anche nella religione di Zoroastro, dove indica il principio della luce e del bene, quindi non era strano che qualcuno lo prendesse come pseudonimo. 
Al momento della divisione dai Templari, il Gran Maestro del Priorato era Jean de Gisors, pronipote di Hugues de Payen o Ugo De’ Pagani. 

Tratto dai Lavori di: Devon Scott 
                                         
Devon Scott 
- Data di Nascita: 1951. Indirizzo: Provincia di Imperia. (residente in Liguria) è studiosa di folklore e tradizioni magico-iniziatiche dell’Europa Occidentale e dell’area mediterranea. 
Ha collaborato con riviste cartacee e telematiche, partecipato a programmi televisivi d’informazione e didattici. 
Suoi articoli sono presenti su vari siti esoterici. Oltre all'edizione dei suoi libri, ha tradotto e curato l'Homme Rouge delle Tuileries di Paul Christian, ©Venexia 2011. 

Ricerche di Giancarlo Bertollini - Ricapitolando:

«Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem - Veram Medicinam».  

Il primo testo attribuito al movimento dei Rosacroce fu pubblicato in Germania nel 1616 a firma di Johann Valentin Andreae. A questo mitico personaggio, del quale gli storici non sono mai riusciti a negare o confermare neppure l'esistenza, è tradizionalmente attribuita la fondazione del più famoso ordine occulto dell'occidente, la Confraternita dei Rosacroce. Negli ultimi tre secoli non vi è scuola esoterica, società segreta o loggia massonica che non si sia avvalsa di riti, leggende e simbolismi di questa inafferrabile confraternita. 
Come molti altri movimenti occulti, anche la storia dei Rosacroce è un susseguirsi di convegni segreti, scismi, plagi e scomuniche. 
Forse per questo è così difficile arrivare a un consenso sulla loro dottrina. 

Christian Rosenkreutz  (1378 - 1484) è stato un esoterista probabilmente tedesco. 

Rappresentazione simbolica

Considerato il fondatore dell'ordine dei Rosacroce (o Rosa+Croce come si trova riportato in molti testi), si pensa che sia vissuto in Germania tra il 1378 e il 1484.

Biografia

Compì viaggi in Medio Oriente, intrapresi per poter approfondire le proprie conoscenze sul mondo dell'occulto, evidenziando anche una forte motivazione mistica e gnoseologica.
Fu proprio al ritorno da questi viaggi che Christian Rosenkreutz (o Cristiano Rosacroce), rientrato in Germania, che è considerata sua patria di origine, fondò l'ordine segreto dei Rosacroce. Secondo quanto viene riportato in alcuni documenti, egli visse fino all'età di 106 anni.
Il suo corpo sarebbe stato rinvenuto, perfettamente intatto, 120 anni dopo, quando alcuni confratelli ritrovarono e aprirono la sua tomba.

Il dibattito sulla figura

La sua storia è narrata in tre documenti fondamentali: 
Fama Fraternitatis (1614), Confessio Fraternitatis (1615) e Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz (1616, quest'ultimo generalmente attribuito a Johann Valentin Andreae).
Da quanto emerge dai documenti, la sua morte (sarebbe meglio dire il ritrovamento del suo corpo ancora integro) dovrebbe essere databile intorno all'anno 1603 (1604 secondo altre fonti). Sarebbe stato proprio il ritrovamento del corpo del Maestro l'evento detonante che portò alla rivelazione dell'Ordine dei Rosacroce agli occhi del mondo.
Una tesi diffusa è che la figura di Christian Rosenkreutz sia probabilmente leggendaria; anche molti degli attuali movimenti che continuano a condividere gli ideali rosacrociani ne danno un'interpretazione figurativa, allegorica. Un'ipotesi è che egli rappresenti la personificazione di alcuni ideali (eroici, gnoseologici, religiosi, sociali, ecc.), che diversi pensatori e circoli mistici dell'epoca volevano diffondere. 
Tuttavia alcuni occultisti ed esoteristi del secolo scorso, come ad esempio Rudolf Steiner, Max Heindel e Jan van Rijckenborgh, pur insistendo sull'alto valore allegorico della figura di Cristiano Rosacroce, intesa a rappresentare il prototipo dell'uomo che rinasce secondo la sua essenza divina, tracciano anche, nei loro scritti, i contorni di alcuni enigmatici adepti e iniziati di alto rango, che avrebbero dato forma attraverso i secoli alle "Scuole dei Misteri Occidentali", presentandosi al mondo anche sotto questo nome simbolico.                    

                                             di Giancarlo Bertollini 

Bibliografia: 
Lavori di Devon Scott 
Enciclopedia Treccani 
Ricerche sul WEB


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lunedì 21 giugno 2021

Solstizio: Significati e Simboli !

Solstizio d’Estate: 21 giugno 2021, il giorno più lungo. 

Il 21 giugno entra ufficialmente l’estate astronomica e le giornate che hanno iniziato progressivamente ad allungarsi dal solstizio d’inverno raggiungono il loro picco massimo. In Italia avremo oltre 15 ore di luce il 21 giugno. Poi dal 22 giugno un lento, ma inesorabile accorciamento fino a raggiungere il minimo nel giorno del solstizio d’inverno, ovvero il 21 dicembre.

La parola solstizio deriva da -sol, ossia sole e -sistere ossia fermarsi in quanto è il momento di massima declinazione del sole nel suo cammino apparente lungo l’eclittica. Nel giorno del 21 giugno il sole resterà sopra la linea del tramonto per 15 ore e 14 minuti.

La durata del crepuscolo ovvero il tempo prima dell’alba e dopo il tramonto in cui la luce del sole è ancora visibile raggiungerà il suo massimo nell’emisfero nord con record nel circolo polare artico dove il sole resterà per quasi 24 ore sopra all’orizzonte.

Il giorno del solstizio d’estate viene celebrato a Stonehenge. Qui in questo antichissimo sito un raggio del sole attraversa il trilite, ossia la struttura composta da due monoliti verticali con architrave, e va ad illuminare l’altare centrale. In questa maniera gli antichi druidi interpretavano l’arrivo della nuova stagione, l’estate.

Ma per i Massoni che significati ha e quali possiamo trarne ?

Giovanni Evangelista, al quale è dedicato il solstizio d'inverno, è indicativo non tanto di una persona fisica, quanto del più esoterico degli scritti riconosciuti, come testimonianza della scuola "giovannea". Tra gli storici, sembra ormai prevalere l'idea che i nomi usati per indicare i Vangeli non corrispondano a persone fisiche, ma a scuole di pensiero dottrinale.

Una lettura, quella attribuita a Giovanni, che mette in risalto l'origine divina del Figlio, in una insondabile eternità, così come annuncia la frase:

«In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio…».

Il concetto di preesistenza è alla base della testimonianza resa dal Vangelo di Giovanni.

Il solstizio d'estate è invece dedicato ad una figura ben precisa: Giovanni detto il Battista, così chiamato perché reintrodusse il battesimo, un antico rito ebraico di purificazione attraverso l'acqua. Il Battista era un profeta, che annunciò l'arrivo imminente del regno di Dio.

Legare questi due momenti dell'anno, quello invernale - con il minor grado d'irradiazione solare -  a Giovanni Evangelista, colui che simbolicamente guarda all'Origine di quella Luce spirituale, e quello estivo - con il maggior grado d'irradiazione solare - a Giovanni Battista, colui che annuncia e profetizza l'avvento futuro della Luce divina, è l'insegnamento che la tradizione massonica ha ritenuto utile velare nella simbologia dei suoi rituali.

Un antico precetto recita che «ogni forma è il simbolo della realtà che la produce», ed il simbolo è una forma, un contenitore al pari di un tempio, di una cattedrale, di un libro; ogni forma è femminile e ricettiva, uno spazio che accoglie. Ogni simbolo si qualifica dalla luce che contiene, la propria natura solare, ma il contenuto è limitato dalla capacità di chi l'osserva.

Anche l'uomo, simbolo vivente, nella sua realtà triplice, di forma, coscienza e spirito, è qualificato dal grado di Luce che sa esprimere. Questa realtà è ricordata dai colori dei paramenti che caratterizzano i gradi e non solo quelli massonici. Infatti i colori dei paramenti, ricordano a chi ancora iniziato non è, la qualità luminosa, nel senso di vibrazione della sfera psichica e spirituale, che quel grado o funzione dovrebbero esprimere. L'Iniziato che incarna le qualità che gioielli e paramenti ricordano, sarà in grado di vivificarli con i suoi pensieri, le sue azioni e le sue parole.  

In altri termini egli è ciò che rappresenta.

La Luce è quindi l'energia che ogni forma è capace d'irradiare, l'essenza spirituale che manifestandosi la qualifica. L'assenza di Luce, prodotto della coscienza spirituale, lascia l'uomo nella tenebra, nell'oscurità, tanto che l'Insegnamento definisce il sé inferiore ancora privo di quella coscienza, un'ombra. Quelle che Giordano Bruno definiva "ombre delle idee", l'uomo non consapevole dell'Idea che lo ha generato e che lo Anima.

E proprio come ombre si muovono gli uomini nel labirinto del mondo di caos.

Più duna volta - afferma Plotino nelle Enneadi - uscito dal sonno del Corpo, era celebrato a Roma ai due solstizi dai Collegia Fabrorum, e che tali ricorrenze potevano forse essere ricondotte a “Giano”?                                        

Il circolo nella filosofia di Plotino:

dalla contemplazione all'estasi; dalla processione all'anima umana. 


Plotino (in greco antico: Πλωτίνος, Plōtínos; Licopoli, 203/205 - Minturno (o Suio), 270)

è stato un filosofo greco antico. È considerato uno dei più importanti filosofi dell'antichità,

erede di Platone e padre del neoplatonismo. Le informazioni biografiche che abbiamo su di lui provengono per la maggior parte dalla Vita di Plotino, composta da Porfirio come prefazione alle Enneadi. Queste furono gli unici scritti di Plotino, che hanno ispirato per secoli teologi, mistici e metafisici "pagani", cristiani, ebrei, musulmani e gnostici. 


                 L'identificazione attribuibile a Plotino è plausibile ma non provata.

                                                                                              Ricerca di Giancarlo Bertollini

Bibliografia:

Esonet, Wikipedia, Officinae

 www.studiostampa.com

giovedì 2 luglio 2020

VINO - ESSENZA E DISTILLATO NEI RITI - NEI SIMBOLI

            L’usanza consueta, in alcune culture, (Dionisio-Bacco) di un eccessivo consumo di vino, aveva la sua spiegazione nel culto, in quanto provocava l’unione con la divinità dell’ebbrezza. Il vino doveva spezzare ogni incantesimo, smascherare le bugie o menzogne (in vino veritas) che non debbono albergare nel cuore del saggio (i Massoni lavorano a questo fine). Anche i defunti potevano gustarlo, se lo si versava a terra disperdendolo (libagione).
         Come “sangue dell’uva” il vino fu spesso visto in un rapporto simbolico con il sangue e non soltanto nel Cristianesimo. Esso, infatti, poteva anche sostituire il sacrificio cruento nel culto dei morti.
         Nella simbologia cristiana, il sangue di Cristo, occupa una posizione centrale (Carne e Sangue corrispondono a Pane e Vino). Nelle raffigurazioni della crocifissione si possono vedere Angeli che raccolgono il sangue dentro i calici, ricollegati simbolicamente al leggendario GRAAL (come certamente sapete, è indicato quale recipiente che Cristo adoperò in occasione della cena eucaristica ed in cui, poco dopo, venne raccolto il suo sangue). Il GRAAL così caro ai cavalieri prescelti da Re Artù per formare la Tavola Rotonda ed all'ordine cavalleresco dei Templari, al quale siamo storicamente legati.
Durante le NOZZE DI CANA, il rilievo non è dato al festeggiato ma a Gesù che, alla fine, attraverso l’allusiva dichiarazione del maestro di tavola, viene ringraziato per aver provveduto al vino buono fino alla fine del  banchetto.
         Molte sono le teorie sulla storia e l’espansione della vite (come simbologia, da molti popoli considerata l’albero della vita) e della vitivinicoltura; le più accreditate ne individuano l’origine organizzata nell'Asia minore, anche se reperti archeologici, rinvenuti in molti insediamenti preistorici, confermano che le GENTI ITALICHE facevano uso sia di uva che di vino, ben prima che la Bibbia fosse scritta.
Dove è doveroso segnalare la citazione nel canto XXX dell’ECCLESIASTICO:
“Date il vino a quelli che sono con l’animo amaro, acciocché bevano e dimentichino la loro miseria e non abbiano più memoria del loro dolore”.
         I reperti archeologici evidenziano una forte influenza degli Etruschi a partire dall’ VIII secolo a.C.
Le colonizzazioni Etrusca e Greca portarono nuove tecniche e nuovi vitigni, lo fecero con numerose varietà, scelte in funzione di ubicazione e clima, così che Plinio il Vecchio, arriverà a catalogarne svariate decine, da tavola e da vino.
Da tanta ricchezza di vitigni e di esposizioni è facile arguire che i fini intenditori potevano contare su una ricca scelta. Dalla lettura di Plinio il vecchio, senza la cui enciclopedia (arrivata integra fino a noi) vivremmo in grave avarizia di informazioni, il mercato offriva pressappoco duecento vini di grande qualità. Circa quanto le nostre attuali migliori D.O.C.
         Riguardo alla simbologia e all’albero della Vita, in estrema sintesi, “un simbolo nasce là dove ad un dato reale, un numero, una parola, un segno, una pianta, un’immagine, un edificio, in breve, ad una cosa, si conferisce un senso più profondo di quanto non possieda nella sua mera sussistenza reale, quando a queste cose ed alle loro forme si attribuisce una maggiore dignità ed un più alto valore di quanto ad esse non spetti propriamente, quando alla cosa esteriore si dà un più profondo valore morale o spirituale, rendendola così immagine di processi spirituali non altrimenti rappresentabili. 
Giotto (c. 1303-1305) Padova - Cappella degli Scrovegni 
Le «radici» dell’acquavite sono … nel cielo.
Oggi la chiamiamo grappa ma all’origine era la quinta essentia (in analogia con il quinto elemento aristotelico, componente dei corpi celesti)  e poi, compiendosi il viaggio della grappa dalle suggestioni alchemiche e metafisiche a farmaco, alimento e bene voluttuario, diventò aqua vitae, aqua ardens, anima vini, acquavite e infine grappa.
Per la precisione, oggi si distinguono:
Distillato di Vino (Brandi), Distillato di vinacce (Grappa), Distillato d’Uva (Acquavite).
La fisica aristotelica era fondata sulla teoria delle qualità, sulla mescolanza cioè dei quattro elementi fondamentali, terra, aria, acqua, fuoco, che produceva qualità opposte come, freddo/caldo, umido/secco; questi principi erano alla base della teoria e della pratica medica. E inoltre secondo la fisica e la cosmologia aristotelica l’universo era diviso in mondo sublunare (corruttibile e dove il moto era rettilineo) e mondo delle sfere celesti (incorruttibile e animato da moto circolare, in cui era presente l’etere o quinta essenza ingenerabile, incorruttibile e inalterabile).
A causa del fallimento del programma di trasmutazione dei metalli in oro, la ricerca alchemica si indirizzò, dalla fine del XIII al XIV secolo, verso la distillazione. Agli occhi degli alchimisti il distillato di vino presentava sorprendenti caratteristiche simili alla quinta essentia: era trasparente come il cielo, incorruttibile e inalterabile.
Con l’introduzione della cultura araba nel mondo latino, nel XII secolo, giunsero anche opere di molti autori del pensiero classico non ancora tradotte; fra cui testi sconosciuti di Aristotele come la Fisica, il De Generatione et Corruptione e altre).
Giunsero anche ai centri di traduzione presso le corti arabe di Spagna e Sicilia, testi alchemici, il cui ingresso contribuì alla valorizzazione del bagaglio tecnico-sperimentale e del legame tra scienza e manualità. La novitas dell’alchimia suscitò curiosità e vivo interesse tra gli studiosi, ma ben presto entrò in conflitto con il sapere scolastico.
Il programma dell’alchimia prevedeva un obiettivo elevato e ambizioso: quello di raggiungere, attraverso l’arte, la perfezione che per i metalli è l’oro, per l’uomo la longevità, poi l’immortalità, e infine la redenzione. Per una serie di motivi questo programma non fu realizzato e l’apprezzamento iniziale, nel corso dei decenni, si tramutò in discredito, derisione, persecuzione. Gli alchimisti da ministri (simili a Dio) e «gubernatores naturae, taciti et secreti, umili e pii», divennero nell'immaginario popolare, sulla spinta delle condanne di papi e inquisitori, adulteratores et latrones e ancora, sophistae et impostore, trufadores, multiplicatores, delusores, pseudophilosophi.
Il fallimento del loro programma spinse i filosofi alchimisti a rifugiarsi in orizzonti visionari utopici e profetici non estranei d’altra parte a visioni catastrofiche e apocalittiche e a sentimenti diffusi di attesa di una grande renovatio.
Agli inizi dell’alchimia latina, nel XII secolo, il problema della trasmutazione era strettamente intrecciato con alcuni aspetti della filosofia naturale e soprattutto col naturalismo aristotelico e quindi costituì un punto cruciale della ricerca e definizione di uno statuto epistemologico dell’alchimia stessa.
Questa fase che potrebbe essere definita «metallurgica» 
si estenderebbe fino al 1275 circa.
Un ruolo di conciliazione e di adattamento delle tesi alchemiche al quadro epistemologico scolastico fu svolto soprattutto da Ruggero Bacone il quale, partendo da una critica al vecchio assetto dell’enciclopedia scolastica, pone l’alchimia, come teoria della materia e della generazione, sullo stesso piano della filosofia naturale. Bacone inoltre, in conformità col suo principio secondo cui la «veritas» del sapere va accompagnata alla «utilitas», considera l’oro alchemico più pregiato di quello delle miniere e ne apprezza le qualità terapeutiche; infatti se assunto come oro potabile è un farmaco equilibratissimo atto a favorire la prolongatio vitae.
Con Bacone quindi fa ingresso nella tematica della trasmutazione quell'aspetto medico-farmacologico dell’elisir o lapis o «medicina».
Una vera e propria svolta farmacologica si ebbe in conseguenza di una lunga crisi dell’alchimia che iniziatasi alla fine del XIII secolo, fu determinata dalla disarticolazione del rapporto teoria/pratica dovuta a un’eccedenza di dati sperimentali rispetto alle teorie disponibili. Ma un altro fattore fu più determinante: alla lunga l’insuccesso nella fabbricazione dell’oro artificiale, la più grande promessa degli alchimisti, produsse delusione e diffidenza; di qui l’accusa principale rivolta all'alchimia di essere un mendacium.
L’alchimia quindi si pone alla ricerca di un nuovo statuto epistemologico in una nuova fase caratterizzata dall'introduzione di elementi soprannaturali dovuti all'intuizione e alla rivelazione. Questa tendenza, attraverso gli scritti attribuiti a Raimondo Lullo e ad Arnaldo da Villanova, si concluderà verso la metà del XIV secolo, con Giovanni da Rupescissa, un monaco francescano alverniate, col ricorso a un nuovo modello cosmologico, quello cristologico. Le trasformazioni di elementi naturali provocate dall’alchimia sono concepite in analogia con le sofferenze e la resurrezione di Cristo Dio e Uomo. E lo statuto epistemologico sarebbe così fondato sul dogma della trasfigurazione, della resurrezione, della vita eterna.
La ripresa dell’alchimia si verifica quindi in ambito medico farmacologico grazie al successo e alla diffusione delle tecniche di distillazione, soprattutto dell’alcol ottenuto dalla distillazione del vino. Per le sue proprietà, quest’acqua ardente e volatile non s’integrava nello schema dei quattro elementi; non essendo né terra, né acqua, né aria, né fuoco; gli alchimisti ricorsero al concetto aristotelico di quinta essentia, quinto elemento, materia dei corpi celesti.
Una certa indeterminatezza epistemologica rendeva non falsificabile l’idea del farmaco alchemico: se la «medicina» non funzionava e l’ammalato moriva, era sempre possibile appellarsi alla divina volontà! Era molto più difficile invece giustificare l’insuccesso nella fabbricazione dell’oro artificiale.

La concezione aristotelica dell'universo, che vede al centro i quattro cerchi sublunari corrispondenti a terra, acqua, aria, e fuoco, al di sopra dei quali ruotano le sfere planetarie di sostanza eterica.

Il Liber de consideratione quintae essentiae (1351 ca.) di Giovanni da Rupescissa, scritto durante un periodo di prigionia ad Avignone, è pervaso da una sorta di ispirazione divina.
Ma al di là delle intenzioni di Giovanni, l’acquavite era già apprezzata come alimento e bene voluttuario. La «quinta essenza» pur mantenendo il doppio significato di prodotto filosofico-spirituale e di alimento, si diffuse a livello di consumo sociale come bevanda.
E come non citare Dante ?
Nel Canto XIV dell’Inferno il Poeta fa capire che le lacrime avrebbero anche una funzione iniziatica perché con la loro evaporazione spegnerebbero le fiamme del girone permettendo il passaggio del pellegrino. In definitiva quindi il pianto del veglio (Statua del Grande Vecchio che a Creta guarda Roma) sarebbe come un'allegoria del peccato, che nasce dagli uomini e punisce gli uomini stessi attraverso i fiumi infernali. Dante ha bisogno di qualche altra spiegazione e chiede a Virgilio perché se questo fiume giunge dal mondo dei vivi lo incontrano solo ora e il poeta latino risponde che fino ad allora essi sono scesi sempre verso sinistra, ma ancora non hanno fatto un giro completo. Poi Dante chiede dove siano il Flegetonte e il Lete, non citati prima, e il maestro risponde che il bollore dell'acqua del fiume rosso avrebbe già dovuto essere di risposta alla sua domanda; mentre per quanto riguarda il Lete Dante lo vedrà sì, ma fuori dalla fossa infernale perché è il luogo dove "l'anime vanno a lavarsi / quando la colpa pentuta è rimossa" cioè in Purgatorio.
Poi Virgilio taglia corto e incita Dante ad allontanarsi dal bosco affinché lo segua sui margini, che fanno la "via", e dove il fuoco non attacca perché sopra di essi le fiamme (vapor) si spengono. 
                                           Giancarlo Bertollini

Bibliografia:
°      La BIBBIA
°      Da Ricerche sul WEB
°      TRECCANI - Enciclopedia Italiana
°      Enciclopedia dei Simboli  (Garzanti)
°      Da Lavori del Fr Giancarlo Bertollini 

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martedì 12 novembre 2013

Norvegia:giornalista con croce via da tg Per proteste comunità islamica, 'non garantisce imparzialità'

(ANSA) - ROMA, 12 NOV - Indossare una catenina con la croce mentre si conduce il telegiornale offende l'islam e dunque la giornalista che l'ha fatto è stata sollevata dall'incarico. E' accaduto in Norvegia e il provvedimento ha colpito un noto volto della Nrk, Siv Kristin Saellmann. Alcuni spettatori - soprattutto esponenti della comunità islamica locale - hanno protestato sostenendo che la "catenina con la croce offende l'Islam" e "quel simbolo non garantisce l'imparzialità del canale". 

Fonte: ANSA

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martedì 17 settembre 2013

SI AVVICINANO LE ELEZIONI !?!

di Giancarlo Bertollini
Ricordo con amarezza che mentre tante nazioni nel Mondo hanno il Bipolarismo, pensiamo agli Inglesi con "Conservatori e Laburisti", agli Americani con "Democratici e Repubblicani" e, ad ogni turno elettorale, i due schieramenti presentano diversi volti nuovi; da noi i volti sono quasi sempre gli stessi e, ad ogni turno elettorale, vengono presentati diversi Simboli Nuovi. 
Che tristezza, quando con la confezione si prova a mascherare lo squallido contenuto ! 

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