Scatta
l’omissione di soccorso, punita dal codice penale, per chi non presta aiuto a
una persona in difficoltà anche se non si è di fronte ad un incidente stradale.
Non è solo una questione di civiltà ma anche una questione penale. Girare
la testa dall’altra parte davanti ad una richiesta di aiuto fatta
da una persona in pericolo viene considerato, a tutti gli effetti, un’omissione di soccorso. Lo sostiene la Polizia di Stato, dopo i casi di cronaca che hanno
visto alcuni passanti ignorare il grido di allarme di persone in gravi
difficoltà. “Questo atteggiamento”, avvertono gli agenti, “è punito dall’art. 593 del codice penale”. Lo stesso, cioè, che
sancisce come reato il mancato soccorso alle vittime di un incidente stradale o
ad un minore abbandonato.
Richieste
di aiuto: cosa dice la legge?
Per il codice penale, l’omissione di soccorso è un reato contro la persona, e più concretamente, contro la
vita e l’incolumità individuale. Si tratta di un reato omissivo, davanti al quale viene punito il mancato
comportamento di un’azione giudicata come doverosa anche se l’omissione non
viene seguita da un evento. Ad esempio, se un passante non segnala alle
forze dell’ordine una situazione di pericolo ha commesso reato
per il semplice fatto di non averlo segnalato, anche se successivamente quel
pericolo rientra.
Esistono anche delle aggravanti. La pena aumenta se dal comportamento
omissivo derivano delle lesioni personali mentre
raddoppia in caso di morte della persona in
pericolo.
Il reato omissivo improprio.
Il codice penale prevede quello che viene definito reato omissivo improprio, che mette sullo stesso piano
il soggetto che commette attivamente un delitto ed il soggetto che non ha fatto nulla per impedirlo. L’omissione, infatti,
viene intesa come un rimanere volutamente inerti di fronte al verificarsi di un
evento.
Quando intervenire?
Di questa vicenda si è parlato molto dopo il caso della ragazza uccisa a Roma a fine aprile dall’ex
fidanzato. La giovane aveva chiesto aiuto a due passanti che, però, non si
erano fermati per paura. Ecco perché, secondo gli inquirenti, sono punibili per
omissione di soccorso: “Un loro intervento avrebbe potuto salvare la vita della
22enne”. Ma ci sono altri episodi in cui si può essere perseguiti dalla legge
per chiudere gli occhi e “tirare dritto”: un’aggressione, una rissa tra più
persone armate, un atteggiamento minaccioso verso qualcuno.
Cosa fare?
Esistono diversi tipi di interventi, indicati dalla Polizia, da realizzare
in casi come questi. Il più immediato, se non vi è rischio per la propria
incolumità, è quello di fermarsi ed intervenire in prima persona per fornire
aiuto. In caso contrario, è necessario (sarebbe meglio dire obbligatorio)
chiamare immediatamente i soccorsi e restare sul posto per fornire alle forze
dell’ordine tutti gli aggiornamenti “in modo accurato” su quanto sta accadendo.
In altri casi è possibile, addirittura, presentare formalmente una denuncia. Pensiamo, ad esempio, a chi è a
conoscenza di episodi di violenza domestica,
di minacce di morte, di lesioni personali, di un reato di clandestinità o di chi è in possesso di
informazioni che possano aiutare a risolvere un caso di omicidio. In altre parole, a chiunque abbia notizia di
un reato perseguibile d’ufficio. Attraverso la denuncia,
cioè l’esposizione dei fatti di cui si è stati testimoni, sarà possibile fare
riaprire delle indagini anche in assenza di un colpevole.
Reato: non
scatta la rissa se ci si difende
Il
delitto non è integrato se uno dei gruppi partecipanti alla rissa ponga in
essere condotte finalizzate solo a resistere all’aggressione o di mera difesa
passiva.
Autodifesa: il reato di rissa [1] scatta se, nella colluttazione
violenta, le parti contrapposte sono animate dalla volontà di arrecare un danno
all’incolumità altrui; se però uno dei soggetti o uno dei gruppi partecipanti
alla contesa sta solo resistendo all’aggressione
altrui o si sta difendendo, non c’è alcuna rissa
(al massimo il reato di lesioni da parte di un gruppo di persone ai danni di
un’altra, che è solo vittima). È quanto chiarito dalla Cassazione con una sentenza pubblicata ieri [2].
Cos’è la rissa
Il delitto di
rissa tutela la vita umana e l’incolumità individuale. La legge punisce la
semplice partecipazione ad una rissa (quindi è richiesta la necessaria
partecipazione di almeno 3 persone). In particolare il codice penale [1] sanziona chiunque partecipi ad una rissa, intesa come una mischia
tra persone che compiano atti di violenza con l’intento di
recare offesa alle parti avversarie e contemporaneamente di difendersi dalle
offese di costoro. Elementi caratterizzanti tale fattispecie sono, quindi:
– l’uso della
violenza
– la
reciprocità delle offese.
La reciprocità delle
offese
Pertanto, non
c’è rissa senza la reciproca volontà di ledere l’incolumità altrui. La Suprema
Corte ha ribadito il consolidato orientamento giurisprudenziale per cui
l’illecito di rissa si configura se, nella colluttazione violenta, le fazioni
contrapposte siano entrambe animate dalla volontà di farsi male.
La fattispecie
in esame non può, perciò, a parere del Collegio, ritenersi integrata qualora
uno dei gruppi partecipanti alla contesa ponga in essere condotte finalizzate
esclusivamente a resistere all’aggressione o di
semplice difesa passiva.
Per esempio,
nel caso in cui un gruppo di soggetti decida di aggredirne un altro,
costringendolo a difendersi, non ci può essere il reato di rissa sia in capo a
coloro che si difendono, sia con riferimento agli aggressori, i quali
risponderanno soltanto delle conseguenze dei loro comportamenti violenti.
LA SENTENZA
Corte
di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 aprile - 3 dicembre 2015, n. 48007
Presidente Fumo - Relatore Pezzullo
Presidente Fumo - Relatore Pezzullo
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza
emessa in data 7.10.2014 la Corte d’Appello di Bologna, in parziale riforma
della sentenza del Gup del locale Tribunale, riduceva la pena inflitta a M.D. a
mesi quattro di reclusione per il reato di cui all’art. 588/2 c.p. per aver
partecipato ad una rissa presso il ristorante “Il Turismo” di Imola nella quale
T. G. riportava lesioni personali giudicate guaribili in sette giorni (frattura
scomposta delle ossa nasali).
2. Avverso tale
sentenza ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del suo difensore di fiducia,
l’imputato, affidato a tre motivi, lamentando:
-con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, primo comma, lett. e) c.p.p., per vizio di motivazione, anche sotto il profilo dei travisamento dei fatto, in merito alla ritenuta partecipazione attiva del M. alla colluttazione, nonché l’erronea applicazione della legge penale quanto alla ritenuta sussistenza del reato di rissa e dell’elemento psicologico; in particolare, dalle deposizioni in atti si evince chiaramente, il ruolo assolutamente passivo del M., atteso che tutti i testi escussi hanno riferito come la colluttazione avvenuta il 9 novembre 2007 presso il ristorante “Il Turismo” di Imola, fosse da riferire esclusivamente alle intenzioni bellicose dei fratelli T., che, volendo reclamare con la forza quanto a loro asseritamente dovuto per un contratto di appalto stipulato con il M., entravano nel locale armati di una pistola semiautomatica, inveendo ed aggredendo quest’ultimo; in particolare, ciò si evince da quanto dichiarato dai testi Ma. e R., e la stessa Corte territoriale sembra dar atto di ciò, salvo, poi, con evidente illogicità, ritenere la partecipazione attiva dell’imputato alla rissa; in realtà, secondo quanto narrato dai testi, a fronte dell’improvvisa aggressione subita, il ricorrente si limitava a reagire in chiave prettamente difensiva, al più spintonando; la Corte territoriale ha dato, invece, rilevanza alle dichiarazioni del teste Leoni, il quale, peraltro, ha dichiarato di non aver assistito alla colluttazione; inoltre, dal compendio istruttorio emerge chiaramente la mancanza di dolo dell’imputato, il quale risulta aver dato al più qualche spintone con il chiaro intento di difendersi per non soccombere; difetta in particolare l’animus offendendi, con la conseguenza che nell’ipotesi di mera difesa passiva dell’aggredito il reato di rissa non è configurabile; -con il secondo motivo, l’erronea applicazione della legge penale, in relazione alla contestazione della fattispecie aggravata di rissa ex. art. 588 comma 2 c.p., atteso che i Giudici di merito hanno posto oggettivamente l’aggravante in questione a carico del M., senza alcuna considerazione del principio di colpevolezza; invero, tale aggravante può essere addebitata all’agente soltanto qualora l’evento fosse prevedibile ed evitabile e, quindi può essere posta a carico dell’agente solo qualora sia accertato il requisito psicologico minimo della conoscenza o conoscibilità (ovvero della previsione o prevedibilità) dell’evento circostanziante, non essendo accettabile il solo fatto materiale della partecipazione alla rissa; in subordine, sussiste il vizio di cui all’art. 606, primo comma, lett. e) c.p.p. per contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante della provocazione, nonché alla determinazione del trattamento sanzionatorio;
-con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, primo comma, lett. e) c.p.p., per vizio di motivazione, anche sotto il profilo dei travisamento dei fatto, in merito alla ritenuta partecipazione attiva del M. alla colluttazione, nonché l’erronea applicazione della legge penale quanto alla ritenuta sussistenza del reato di rissa e dell’elemento psicologico; in particolare, dalle deposizioni in atti si evince chiaramente, il ruolo assolutamente passivo del M., atteso che tutti i testi escussi hanno riferito come la colluttazione avvenuta il 9 novembre 2007 presso il ristorante “Il Turismo” di Imola, fosse da riferire esclusivamente alle intenzioni bellicose dei fratelli T., che, volendo reclamare con la forza quanto a loro asseritamente dovuto per un contratto di appalto stipulato con il M., entravano nel locale armati di una pistola semiautomatica, inveendo ed aggredendo quest’ultimo; in particolare, ciò si evince da quanto dichiarato dai testi Ma. e R., e la stessa Corte territoriale sembra dar atto di ciò, salvo, poi, con evidente illogicità, ritenere la partecipazione attiva dell’imputato alla rissa; in realtà, secondo quanto narrato dai testi, a fronte dell’improvvisa aggressione subita, il ricorrente si limitava a reagire in chiave prettamente difensiva, al più spintonando; la Corte territoriale ha dato, invece, rilevanza alle dichiarazioni del teste Leoni, il quale, peraltro, ha dichiarato di non aver assistito alla colluttazione; inoltre, dal compendio istruttorio emerge chiaramente la mancanza di dolo dell’imputato, il quale risulta aver dato al più qualche spintone con il chiaro intento di difendersi per non soccombere; difetta in particolare l’animus offendendi, con la conseguenza che nell’ipotesi di mera difesa passiva dell’aggredito il reato di rissa non è configurabile; -con il secondo motivo, l’erronea applicazione della legge penale, in relazione alla contestazione della fattispecie aggravata di rissa ex. art. 588 comma 2 c.p., atteso che i Giudici di merito hanno posto oggettivamente l’aggravante in questione a carico del M., senza alcuna considerazione del principio di colpevolezza; invero, tale aggravante può essere addebitata all’agente soltanto qualora l’evento fosse prevedibile ed evitabile e, quindi può essere posta a carico dell’agente solo qualora sia accertato il requisito psicologico minimo della conoscenza o conoscibilità (ovvero della previsione o prevedibilità) dell’evento circostanziante, non essendo accettabile il solo fatto materiale della partecipazione alla rissa; in subordine, sussiste il vizio di cui all’art. 606, primo comma, lett. e) c.p.p. per contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante della provocazione, nonché alla determinazione del trattamento sanzionatorio;
se è pur vero,
infatti, che l’attenuante in parola può trovare eccezionalmente applicazione
solo qualora uno dei partecipanti alla rissa abbia ecceduto i limiti accettati
e prevedibili, realizzando, in tal modo, con la propria reazione eccessiva, un
nuovo e autonomo fatto ingiusto, ovvero quando la contesa sia preceduta e
determinata da una pretesa tracotante, eticamente egiuridicamente illecita, o
da una gravissima offesa, proveniente esclusivamente dall’altro gruppo, tali
elementi, tuttavia, sussistono nel caso di specie; inoltre, la motivazione è
contraddittoria, in quanto, i Giudici di merito hanno dapprima riconosciuto
implicitamente i presupposti per l’applicazione dell’attenuante della provocazione,
per, poi, ritenerli invece indimostrati nel caso di specie; dei pari
contraddittoria risulta la motivazione nella parte in cui non sono state
riconosciute le attenuanti generiche, sui presupposti della spiccata intensità
del dolo palesata dal M. e della complessiva gravità dei fatto.
Considerato in diritto
Il ricorso va
accolto nei limiti di cui si dirà.
1. La Corte territoriale ha ricostruito la dinamica dei fatti nella sentenza
impugnata nel senso che i fratelli T., entrati nel ristorante, si diressero
verso il M. per reclamare il pagamento di quanto da loro asseritamente vantato,
plausibilmente in forza del contratto di appalto in atti, con intenzioni non
certo pacifiche, in quanto armati di pistola; l’imputato si alzava dal tavolo e
si dirigeva verso una sala attigua per discutere con loro; la situazione in
reltà ben presto degenerava ed il M. iniziava a spintonarsi con i fratelli T.,
ma, almeno in un primo momento, aveva la peggio, tanto da finire contro la
vetrata; a questopunto i commensali del M. decidevano di intervenire
partecipando attivamente alla rissa che coinvolgeva circa dieci persone,
secondo quanto riferito dal Leoni; tutti si picchiavano, volavano sedie e
bottiglie ed erano persino estratte le armi, secondo quanto riferito dal R..
2. Tenuto conto di tale ricostruzione dei fatti, guardando alla genesi della
colluttazione che ha coinvolto il M., la sentenza impugnata appare affetta da
una manifesta illogicità o da contraddittorietà della motivazione sul punto.
Invero, i giudici d’appello danno atto, in sostanza, che gli intenti
“aggressivi” erano solo dei fratelli T. nei confronti del M., posto che essi
entravano nel locale armati, con evidenti intenzioni “bellicose”, ed
aggredivano per primi violentemente il M., tanto che quest’ultimo finiva contro
la vetrata.
3. In tale contesto non pare che i giudici di merito abbiano valutato la
condotta del M. (peraltro, non limpidamente ricostruita a fronte di quella dei
fratelli T., meglio indicata dai testi presenti) alla luce dei principi più
volte espressi da questa Corte, secondo cui per la configurazione del reato di
rissa è necessario che, nella violenta contesa, vi siano gruppi contrapposti,
con volontà vicendevole di attentare all’altrui incolumità personale (Sez. VI,
15/05/2012, n. 24630). In tale prospettiva conviene rammentareche il reato di
rissa si concretizza in forme di violenta contesa tra più persone o gruppi di
persone, con il proposito di ledersi reciprocamente e con modalità che pongano
in pericolo l’incolumità dei contendenti, non realizzandosi la fattispecie di
cui all’art. 588 c.p. nel caso in cui uno dei gruppi in conflitto si limiti a
resistere all’aggressione o ad assumere una mera difesa di tipo passivo (Sez.
fer., 02/09/2008, n. 35301), quando, in particolare, un gruppo di persone
assale deliberatamente altre, e queste ultime si difendono, non è ravvisabile
il delitto di rissa, né a carico degli aggrediti, né a carico degli aggressori,
i quali rispondono soltanto delle eventuali conseguenze della loro azione
violenta in danno di coloro che si sono limitati a difendersi (Sez. 1, n. 1476
del 11/12/2007 – dep. 11/01/2008, Arapaj e altri, Rv. 238766, Sez. 5, n. 43524
del 13/05/2004 – dep. 08/11/2004, Galletta ed altri, Rv. 230323).
4. Nel caso di specie la Corte territoriale, mentre dà conto, da un lato,
dell’atteggiamento non aggressivo dei M., e, quindi, di un atteggiamento di non
contrapposizione, a fronte della carica violenta degli T. -attestata dalla
presenza dell’arma e dal fatto che scaraventarono l’imputato contro una
vetrata-, dall’altro, giunge a conclusioni opposte, ritenendo il M. partecipe,
coautore della rissa, dando in sostanza significatività alle lesioni riportate
da T. G., laddove non si ritiene costituisca in sè prova sufficiente della
partecipazione attiva ad una rissa la semplice circostanza di aver prodotto una
lesione, pur attestata da referti medici, senza contestualizzare la lesione
medesima .
5. La sentenza impugnata, pertanto, va annullata con rinvio per nuovo esame ad
altra Sezione della Corte di appello di Bologna. Spese al definitivo.
6. La fondatezza, nei limiti indicati, del primo motivo di ricorso
assorbe le ulteriori questioni proposte dall’imputato.
assorbe le ulteriori questioni proposte dall’imputato.
P.Q.M.
Annulla la
sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di
appello di Bologna.
[1] Art. 588 cod. pen.
[2] Cass. sent. n. 48007/2015 del 3.12.2015.
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