giovedì

Mitra, la divinità nata da Petra

Mitra (o Mithra, secondo l’etimologia persiana) fu un’antica divinità indoiranica della luce. 
Tale definizione, tuttavia, andrebbe precisata ricordando le interpretazioni e le epoche. 
Taluni studiosi vedono in questo dio una parte della triade Ahura-Mazdah, Anahita e Mitra: il primo è creatore, la seconda è la signora della natura che fa crescere e alimenta, il terzo andrebbe appunto inteso come colui che distrugge per dar vita a un nuovo ciclo. Ipparco di Nicea, che nel II secolo prima della nostra era compilò il più accurato catalogo stellare dell’antichità, invece, lo collega alla “processione degli equinozi”: Mitra, in tal caso, è il dio che causa il fenomeno. Altri contesti evidenziano come affrontasse il Sole e riuscisse a sconfiggerlo; in altri ancora emerge il racconto del mito che ispirerà il culto. Mitra diventa un dio nato da una pietra, «Petra genitrix» o «Petra virginis», attorno alla quale era attorcigliato il serpente Ouroboros; da qui si muove la tradizione che lo credeva nato da una vergine. 
Il suo destino? Salvare il mondo. Il dio Sole, utilizzando un corvo, gli avrebbe ordinato di uccidere un Toro, emblema della pienezza vitale. Con l’aiuto di un cane costringe la possente bestia in una caverna, o grotta; e qui la intrappola. Ne solleva la testa prendendola per le narici, gli ficca coltello nel fianco, la finisce. Il morente, però, perdendo la vita genera dal suo corpo le piante necessarie per l’uomo: il grano dal midollo, la vite dal sangue. Due animali sostengono Mitra nella sua azione che realizza l’ordine divino: uno scorpione, che colpisce il toro ai testicoli, e un serpente, che lo aiuta con il suo fatale morso. In un’altra versione essi sarebbero inviati dal dio del male, Ahriman, allo scopo di contrastare la generazione della natura. Alla fine Mitra e il Sole ritrovano la pace: per questo celebrano un banchetto con le carni dell’ucciso. L’iconografia classica sovente raffigurava il dio nelle sembianze di un giovane con il berretto frigio, nell’atto di uccidere il Toro («tauroctonia»); ai suoi piedi appaiono il più delle volte gli animali che l’hanno aiutato. Il filosofo Porfirio, allievo di Plotino, morto a Roma nel 305 della nostra era, considerava la caverna in cui si consumò la tauroctonia immagine del cosmo. Senza evocare altre interpretazioni astronomiche del mito o ulteriori contaminazioni, diremo che il culto si diffuse a Roma già al tempo di Nerone, che fu iniziato ai misteri di Mitra, come lo sarà Giuliano tre secoli più tardi. 
Gordiano III, nella prima metà del III secolo, durante la campagna contro i persiani fece coniare monete con l’effige del dio: era il tempo nel quale i culti di Helios e di Mitra tendevano a fondersi e Aureliano, la cui madre era sacerdotessa del Sole, gli edificò un nuovo tempio creando un corpo di sacerdoti, i pontifices solis invicti. Già, il Sole Invitto: lo stesso Costantino vi prestò fede. Aggiungiamo soltanto che i devoti di Mitra praticavano qualcosa di simile ai sette sacramenti, conoscevano una specie di comunione con pane e acqua, o anche con acqua e vino. Era celebrata per ricordare un’ultima cena con il Maestro.
Tutto questo non deve indurre a conclusioni affrettate e, leggendo una raccolta di saggi di uno dei massimi esperti mondiali dell’argomento, Robert Turcan, dal titolo Recherches Mithriaques, appena uscita presso Les Belles Lettres, ci si accorge quanto sia complesso, variegato e ancora da studiare questo culto, per noi tra i meno conosciuti dell’antichità. Turcan, emerito della Sorbona, aveva già dedicato un libro nel 1993 all’argomento: Mithra et le mithracisme, anch’esso pubblicato dalle Belles Lettres. Con queste Recherches egli raccoglie quarant’anni di indagini, domande, scoperte o, per dirla con le sue parole, «de questions et d’investigations». Ecco le note sulla liturgia di Mitra, o il saggio sulle Motivazioni dell’intolleranza cristiana e la fine del mitraismo nel IV secolo dopo Cristo (nato a un convegno a Budapest nel 1983); non manca l’individuazione di un catechismo di questo culto, né uno studio sulla gerarchia sacerdotale nei misteri dedicati al dio. Si ritrova un testo sulla soteriologia, ovvero dottrina della salvezza, del mitraismo. 
In tal caso, però, la ricerca porta a una comparazione con le concezioni neoplatoniche concernenti tali questioni. D’altra parte, le ultime parole di Plotino furono un invito a 
«far risalire il divino che è in voi al divino che è nell’universo».

Ma qui il discorso si fa mistico, oltre che infinito. È un’altra storia, direbbe Kipling. 
Magari un giorno riusciremo a raccontarla.

                             Sintesi di Giancarlo Bertollini


Bibliografia: 

° Da Ricerche sul WEB. 
°       Da un Lavoro di Armando Torno.
° TRECCANI - Enciclopedia Italiana.
° Da Lavori del Fr Giancarlo Bertollini. 


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mercoledì

IL CUBITO: sempre pronto a rivedere le mie posizioni per arrivare ad una accettazione condivisa della misura da adottare uniformemente.

Qabbalah Ebraica - L’Albero della vita, mappa dei dieci livelli dell’essere.

La Qabbalah, che costituisce la tradizione segreta del misticismo giudaico, cominciò a diffondersi in forma scritta intorno al XII secolo, ma ha origini assai più antiche. A livello speculativo ha raggiunto vette altissime, comunicando vertiginose intuizioni metafisiche attraverso un simbolismo di grande fantastica potenza.

Fondamentale a questo riguardo è l’importanza del diagramma dell’Albero della Vita, che compendia gli stadi della manifestazione divina e tutte le possibili relazioni fra spirito e materia. L'Albero della Vita costituisce la sintesi dei più noti e importanti insegnamenti della Cabala ebraica. È un diagramma, astratto e simbolico, costituito da dieci entità (più una DAAT), chiamate Sefirot, disposte lungo tre pilastri verticali paralleli: tre a sinistra, tre a destra e quattro (più una) nel centro. Il pilastro centrale si estende al di sopra e al di sotto degli altri due.

Le Sefirot corrispondono ad importanti concetti metafisici, (come aspetti autentici della filosofiaa veri e propri attributi o emanazioni della Divinità. Da un punto di vista teologico tali Sefirot o 'Luci Increate' sono dunque considerate di sostanza increata, ma in qualità di emanazioni non sono vere e proprie ipostasi (come processione dell’emanazione divina) e dunque non possiedono la natura divina. Inoltre, esse, sono anche associate alle situazioni pratiche ed emotive attraversate da ogni individuo, nella vita quotidiana. Le Sefirot sono dieci principi basilari, riconoscibili nella molteplicità disordinata e complessa della vita umana, capaci di unificarla e darle senso e pienezza. Osservando la figura, si può notare che le dieci Sefirot sono collegate da ventidue canali, tre orizzontali, sette verticali e dodici diagonali. Ogni canale corrisponde ad una delle ventidue lettere dell'abjad ebraico (come alfabeto consonantico e numerologico).

I tre pilastri dell'Albero della Vita corrispondono alle tre vie che ogni essere umano ha davanti: l'Amore (destra), la Forza (sinistra), e la Compassione (centro). Solo la via mediana, chiamata anche "via regale", ha in sé la capacità di unificare gli opposti.

Senza il pilastro centrale, l'Albero della Vita diventa quello della conoscenza del bene e del male (quello biblico). I pilastri a destra e a sinistra rappresentano inoltre le due polarità basilari di tutta la realtà: il maschile a destra e il femminile a sinistra, dai quali sgorgano tutte le altre coppie d'opposti presenti nella creazione.

Come dice la Bibbia, la via che conduce all'Albero è guardata da una coppia di cherubini, due angeli armati di una spada fiammeggiante. Ciò però non significa che la via sia del tutto inaccessibile. Secondo la tradizione orale, i due Cherubini possiedono l'uno un volto maschile e l'altro un volto femminile. Essi rappresentano le due polarità fondamentali dell'esistenza, così come si esprimono sui piani più elevati della consapevolezza. Con il graduale ravvicinamento e riunificazione di tali principi, questi angeli cessano di essere i "Guardiani della soglia", il cui compito consiste nell'allontanare tutti coloro che non hanno il diritto di entrare, e diventano invece i pilastri che sostengono la porta che ci riconduce al Giardino dell'Eden.

Vale qui la pena di ricordare che i numeri (che ormai tutto il Mondo utilizza) sono nati ed utilizzati in India tra il 400 a.C. e il 400 d.C. per essere poi adottati e diffusi dagli Arabi, risulta pertanto erroneo chiamarli numeri Arabi e, volendo dare un riconoscimento alla diffusione, si ritiene corretto definirli “Numeri Indo-Arabi”. 
Ancora oggi i numeri Arabi orientali vengono chiamati “Numeri Indiani”.  

                                Giancarlo Bertollini
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SATOR: Due Parole sul Quadrato Magico !

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UOMO DIVINIZZATO O DIO UMANIZZATO ?

E’ una vera identificazione ?  Va ricordato che tutti i testi che si trovano nel quarto Vangelo, in Giovanni, nel Capitolo 13 
“chi ascolta voi ascolta me e chi ascolta me ascolta colui che mi ha mandato”, 
“chi accoglie voi accoglie me e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato”, 
“chi disprezza voi disprezza me e chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato”. 
Cioè è una corrente di identificazione !
Quindi, quando parliamo del mistero dell’incarnazione, non si tratta di dire che l’uomo è divinizzato, ma di una cosa che non abbiamo avuto il coraggio di dire: 
il cristianesimo crede in un Dio che ha rinunciato alla sua condizione divina e si è identificato con l’umanità. E l’ha fatto in modo tale che solo trovando l’umanità di ciascuno, di ognuno, e secondo il rapporto che abbiamo con l’umanità, con ciò che è umano, possiamo trovare Dio. Non c’è altro cammino, né altra possibilità. E pensate che il rapporto con l’umano non è una realtà specificamente religiosa, ma una realtà specificamente laica. Quindi lo specifico del cristianesimo  è il rapporto con Dio partendo dalla laicità, per mezzo della laicità e vivendo pienamente la nostra condizione laica. Perché? Perché soltanto la laicità è comune a tutti gli esseri umani. E questo dovrebbe essere chiaro. Perché se cominciamo dalla religione, allora, siccome la religione è sempre un fatto culturale, secondo la molteplicità di culture, c’è la molteplicità delle religioni e siccome le culture si identificano normalmente anche con la politica, la religione diventa un principio di frattura, di divisione, di confronto, di lotta e di violenza! 
E come è possibile trovare il divino in questa condizione? 
Quindi quello che ho voluto dire è che nell’umanizzazione noi troviamo quel Dio che noi non conosciamo ma che sappiamo essersi manifestato, nel cristianesimo, come umano. 
E adesso, ci troviamo in una situazione molto ambigua. Perché da una parte con Giovanni XXIII, fino al papa attuale, si parla in favore dei diritti umani, ma la chiesa non ha mai firmato i documenti dei diritti umani, e neppure li ha applicati nell’organizzazione e nel funzionamento della chiesa stessa. 
Il Sociale ha fatto un grandissimo progresso. Se oggi siamo avanzati nei rapporti, diritti umani, uguaglianza, diritti lavorativi, sociali, ecc. la radice e il fondamento credo sia una cultura che li ha favoriti, ma siamo ancora così lontani … E questo cosa vuol dire? 
A mio avviso, non è cambiare i politici, o il sistema politico, democratico, economico, ecc. ... 
Io penso che la cosa più importante sia cambiare il cuore delle persone. 
In quel momento, quando siamo più vicini alla morte e nel momento della morte, che è il momento della suprema debolezza, Dio è identificato con noi, non per le nostre credenze o per la nostra religiosità, ma per la nostra debolezza e per la nostra umanità. 

                             Giancarlo Bertollini 

Tratto e rielaborato dal Libro L’UMANIZZAZIONE DI DIO di Josè Maria CASTILLO


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