lunedì

UNA TRAGEDIA UMANA USATA COME UNA BOMBA MEDIATICA CONTRO ISRAELE


Hamas e l’Autorità Palestinese hanno solo due strade per fermare la controffensiva anti-terrorismo delle Forze di Difesa israeliane nella striscia di Gaza e lo smantellamento del potere militare di Hamas. La prima è un accordo basato sul ricatto per il rilascio degli ostaggi. La seconda conta sulla pressione internazionale per motivi umanitari per costringere Israele, soprattutto grazie all’intervento degli Stati Uniti, a fermare completamente la controffensiva.
La dirigenza di Hamas sa che Israele è già disposto a fare concessioni riguardo alla liberazione degli ostaggi, ma non si impegnerà mai a porre totalmente fine ai combattimenti senza aver debellato Hamas e le sue orrende minacce. Pertanto Hamas fa affidamento sulla pressione internazionale nella speranza di costringere Israele a fermarsi (e poter cantare vittoria).
Questo è il motivo per cui il cosiddetto “ministero della sanità” di Gaza (controllato da Hamas) e i portavoce dell’Autorità Palestinese sotto la guida di Abu Mazen stanno cercando di trasformare il tragico incidente avvenuto a Gaza giovedì mattina durante la fornitura di aiuti umanitari in un “massacro” di cui gettare tutta la colpa su Israele. Ed è per questo che ancor prima che si sapesse cosa era successo esattamente, l’incidente era già stato ribattezzato il “Massacro di Al-Rashid”.
Fin dalle prime ore di giovedì mattina i palestinesi hanno cercato di innescare una bomba nell’opinione pubblica che sperano possa fermare le operazioni anti-terrorismo delle Forze di Difesa israeliane nella striscia di Gaza. In prima linea, in questa battaglia per l’opinione pubblica, si trova ora l’Unità del portavoce militare israeliano chiamata a dimostrare, con prove convincenti, che Israele non è responsabile della fuga precipitosa e della calca letale, e che i soldati, anche se hanno sparato contro i saccheggiatori, non sono responsabili del grande numero di vittime.
E’ una situazione analoga a quella che si verificò all’inizio dell’operazione di terra a Gaza quando un razzo della Jihad Islamica Palestinese cadde nel cortile di un ospedale nel nord della striscia uccidendo alcune decine di persone. I palestinesi accusarono Israele, gonfiando all’inverosimile il numero delle vittime, e ci volerlo ore prima che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden “disinnescasse” quella bomba mediatica annunciando che le prove dimostravano che a causare l’incidente non era stato un missile israeliano ma un fallito lancio palestinese.
Quanto affermano le Forze di Difesa israeliane sull’accaduto di giovedì mattina delinea un quadro più complesso del facile e comodo slogan sul “massacro”. In realtà si sono verificati essenzialmente tre diversi incidenti iniziati alle 4 del mattino.
I camion degli aiuti umanitari, che trasportavano principalmente cibo, sono entrati nella parte settentrionale della striscia attraverso un posto di controllo delle Forze di Difesa israeliane.
Le migliaia di abitanti di Gaza che hanno preso d’assalto e tentato di saccheggiare il cibo dai camion – come si vede nei video filmati da un drone israeliano – sono stati calpestati dalla folla e in parte investiti dagli autisti atterriti che cercavano di allontanarsi. Questo è stato il primo incidente, chiaramente visibile nelle riprese dei droni, e nel quale le forze israeliane non hanno avuto nessun coinvolgimento.
Subito dopo questo evento c’è stato un altro tentativo di saccheggiare i camion. Durante questo secondo assalto diversi individui armati – probabilmente terroristi di Hamas o membri di altre organizzazioni terroristiche o di bande locali – hanno sparato sulla folla per disperderla e/o per derubare loro stessi i camion.
Le Forze di Difesa israeliane sono state direttamente coinvolte solo nel terzo incidente, in cui una parte della folla che cercava di avvicinarsi ai camion è arrivata a poche decine di metri dai soldati, o perché fuggiva dai terroristi o perché cercava di avvicinarsi ai camion da un’altra direzione. In questo caso, secondo un ufficiale israeliano che comandava i carri sul posto, i soldati si sono sentiti minacciati e hanno sparato: dapprima colpi in aria di avvertimento, poi mirando alle gambe dei palestinesi che non si fermavano.
Al momento non risulta una documentazione specifica di questo evento che possa confutare le accuse lanciate (senza prove) dai palestinesi. Ma ciò che risulta abbastanza evidente dai filmati dei droni è che la maggior parte delle vittime si è verificata in incidenti in cui i militari non erano coinvolti.
Si può solo sperare che Israele riesca a confutare le accuse palestinesi che sono chiaramente automatiche, esagerate e in gran parte infondate.
Potrebbe aiutare il fatto che erano presenti giornalisti della CNN e di altri media internazionali che hanno intervistato dei palestinesi di Gaza che hanno confermato d’aver visto i camion investire una parte significativa dei saccheggiatori e molti altri calpestati nella calca. Naturalmente queste testimonianze avranno poca eco sui media e verosimilmente saranno presto messe a tacere da Hamas.
Testo | Israele.net
Nella foto: un fermo immagine da un video di un drone israeliano.

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Roberta Bruzzone ricostruisce il caso di Chico Forti



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sabato

Rome Wine Expo: di Giancarlo Bertollini

Bene, appena uscito dalla prima giornata del Rome Wine Expo e sono piacevolmente colpito dalla crescita qualitativa dei nostri Produttori/Vignaioli. Per il momento mi sento di segnalare alla vostra attenzione (tra le decine di assaggi fatti) un Produttore di eccellenza che nobilita la già famosa linea di Prosecco DOCG, 
la Società Agricola Castellalta. 
  
Con la guida del gentilissimo sig. Benedetto 
ho potuto degustare la sua fantastica linea di Prosecchi. 
Perdonate la qualità della foto ma 
ho voluto fotografarli personalmente. 
*** *** ***
Sono poi passato ad assaggiare qualche prodotto di "casa" e debbo dire che la nostra meravigliosa Malvasia Puntinata del Lazio, 
il Grechetto e il Merlot 
col Sangiovese Grosso (quello del Brunello per intenderci) 
mi hanno molto colpito e sento il dovere di segnalarvi 
questo piccolo produttore di eccellenza. 
 
La Malvasia Puntinata del Lazio, Il Grechetto e il taglio di Merlot/Sangiovese 
sono decisamente da assaggiare.

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martedì

Breve biografia estratta dal libro di Guido del Giudice “Giordano Bruno. Il profeta dell’universo infinito”, GBS, Napoli 2015.

Vita Bruno

Del luogo natio, la gloriosa Nola, che aveva respinto Annibale e accolto l’ultimo respiro di Augusto, aveva ereditato la fierezza e lo spirito combattivo. Vi era nato nei primi mesi del 1548 e, anche quando l’abbandonerà a 14 anni per andare a studiare a Napoli, Filippo Bruno rimarrà per sempre il “Nolano”.

A 17 diventa fra’ Giordano, quando, ammaliato dagli oratori che predicano dal pulpito di S. Domenico Maggiore, entra in convento. Percorre rapidamente tutte le tappe fino al sacerdozio, celebrando a Campagna, nella chiesa di San Bartolomeo, la sua prima messa. Si segnala subito per l’acuto ingegno e la particolare abilità nell’arte della memoria ma anche per l’insaziabile curiosità che lo porta ad interessarsi non solo ai testi canonici, ma anche a quelli eretici, in particolare alle opere di Erasmo da Rotterdam. Tendenza questa che determina l’apertura del primo processo contro di lui, spingendolo a fuggire da Napoli.

Ha inizio così un’incredibile peregrinatio: quasi diecimila chilometri, in giro per le principali corti ed accademie europee. Nell’arco di due anni soggiorna a Roma, Noli, Savona, Torino, Venezia e Padova. Dopo brevi soste a Bergamo e a Brescia, si dirige verso Lione, poi Chambery e di lì a Ginevra, dove riesce a farsi scomunicare anche dai calvinisti. La sua irrequietezza e l’intolleranza ai dogmi gli faranno stabilire un ineguagliato record di scomuniche: alla cattolica e alla calvinista, si aggiungerà più tardi, ad Helmstedt quella luterana. Tappa successiva: Tolosa, dove insegna per circa due anni, prima di dover cambiare aria per la recrudescenza delle lotte religiose. Giunge così a Parigi, dove gode un periodo di fulgida fortuna. Enrico III ne ammira l’arte della memoria, lo nomina lettore reale e lo invia a Londra al seguito dell’ambasciatore Michel de Castelnau.

Il soggiorno inglese, iniziato nell’aprile 1583, lo introduce alla corte della “diva Elisabetta” e gli consente di portare a termine la maggior parte delle opere italiane. Nel mirino della sua insaziabile ambizione finisce naturalmente Oxford: troppo ghiotta l’occasione di affermare l’infinità dell’universo nella roccaforte della pedanteria accademica! Tanto ardire gli costa l’allontanamento, con l’accusa di plagio, tanto fedelmente la mnemotecnica gli consentiva di citare i suoi maestri.

Al rientro in Francia, il tentativo di tornare ad insegnare è frustrato dall’opposizione degli aristotelici, ai quali rinfaccia la cieca abitudine a credere. Dopo una drammatica disputa, svoltasi nel Collegio di Cambrai, è costretto a lasciare la Francia, dando inizio alla fase tedesca della sua peregrinatio. Nonostante critichi ferocemente la dottrina dei luterani, sono proprio questi a trattarlo con più ospitalità e considerazione. Insegna a Wittenberg e ad Helmstedt, esperienze esaltate nelle “Due Orazioni”, lasciando dietro di sé uno stuolo di fedeli e riconoscenti discepoli. Tenta la carta Praga, alla corte dell’imperatore Rodolfo II, ma il ruolo di mago o ciarlatano non fa per lui. Fa rotta quindi su Francoforte, per curare la pubblicazione della summa del suo pensiero: i tre poemi latini. Il soggiorno è interrotto da un periodo di sei mesi in Svizzera, durante il quale entra in contatto con l’ambiente Rosacrociano.

fotostemmaAttirato in Italia dalla doppia utopia di contendere a Galileo la cattedra di matematica a Padova e di ottenere il perdono papale, vincolandolo alle sue idee, accetta l’invito-trappola del patrizio veneziano Giovanni Mocenigo, che gli sarà fatale. Questo tristo personaggio, deluso per non aver ricevuto gli insegnamenti magici che si aspettava, lo fa rinchiudere dai servi e lo consegna agli sgherri dell’Inquisizione. Il “Mercurio in terra”, finisce così in una buia cella, dalla quale non uscirà più. In verità, a Venezia le cose sembrano mettersi bene ma, proprio quando Bruno pensa di potersela cavare, rinnegando gli eccessi verbali commessi e promettendo di tenere a freno il suo ingegno, arriva l’avocazione del processo da parte del Santo Uffizio Romano, che non aveva mai cessato di tenerlo bellarminocold’occhio. Venezia abbozza una resistenza, in nome della propria autonomia legislativa, ma infine cede alle richieste del Vaticano e, nel febbraio del 1593, il filosofo viene trasferito nelle carceri di Roma. Bruno tiene testa ai suoi accusatori per sette lunghi anni, con una tattica fatta di parziali ammissioni e orgogliose rivendicazioni, ma l’ingresso nel collegio giudicante del cardinale Bellarmino imprime al processo una brusca sterzata. La difesa del Nolano, incentrata sulla distinzione della verità filosofica da quella teologica, vacilla. Messo di fronte all’obbligo di abiurare 24 proposizioni ritenute eretiche, si dice disposto per quelle di natura teologica ma, messo di fronte alle affermazioni  filosofiche, che rappresentano l’essenza del suo pensiero, si irrigidisce e grida di non aver nulla di cui pentirsi. Le ultime parole, prima che gli impongano la mordacchia per inchiodargli la lingua, sono sprezzanti: “Avete più paura voi nel pronunciare questa sentenza, che io nell’ascoltarla!” Giovedì 17 febbraio 1600, legato nudo a un palo in piazza Campo de’ fiori, il filosofo degli infiniti mondi viene bruciato vivo.


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