ItaliaOggiNumero 047 pag. 7 del 25/2/2010
PRIMO PIANO
Di Diego Gabutti
Il cocco dei magistrati democratici strilla e pesta i piedi perché sarebbe stato infangato.
Questo tifoso della giustizia sommaria chiede provvedimenti contro chi lo contraddice
Marco Travaglio è offeso. Dategli torto: qualche sera fa, ad Annozero, Maurizio Belpietro, direttore di Libero, e Nicola Porro, del Giornale, l'hanno svillaneggiato e diffamato. Passi ancora la diffamazione: Travaglio, col mestiere che fa, deve considerare la diffamazione un reato minore, uno di quei peccati veniali di cui siamo tutti un po' colpevoli (chi più, beninteso, e chi meno). Ma lo svillaneggiamento_ ah no, Travaglio non sopporta che lo si ferisca nell'onore, anzi che lo si infanghi. Non lo sopportano neppure i mafiosi, a pensarci. Tanto che se fossero, non so, Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi a lamentarsi perché si sentono infangati, anzi disonorati, per Travaglio questa sarebbe un'ulteriore prova di concorso esterno. Nel caso di Travaglio, invece, che come la moglie di Cesare è per definizione al di sopra d'ogni sospetto, è una prova d'innocenza. Offesissimo, in ogni modo, il principe dei gazzettieri che amano la legalità, amico degli amici delle procure, cocco dei magistrati democratici, strilla e pesta i piedi. Con una lettera a Michele Santoro, un altro che s'offende facilmente e che altrettanto facilmente offende il prossimo suo, il maestro opinionista del Fatto quotidiano ha chiesto che Annozero prenda immediatamente dei provvedimenti contro simili farabutti. Provvedimenti, deve pensare questo tifoso della giustizia sommaria, anche drastici. Tipo mettere non diciamo al muro, come forse meriterebbero, ma almeno in ginocchio sui fagioli, in diretta televisiva, davanti a tutti, chi non porta rispetto ai giornalisti in odore di santità, cari a Beppe Grillo, onorati dai comici televisivi, culo e camicia con Tonino Di Pietro. In un paese civile, per bene, dove a Marco Travaglio sarebbero eretti monumenti e s'intitolerebbero le scuole, Maurizio Belpietro e Nicola Porro non avrebbero osato infangare la reputazione di questo inesausto cercatore delle supreme verità, quelle processuali, dandogli del frequentatore di poliziotti mafiosi, nonché del cretino! Belpietro e Porro hanno fatto a Travaglio ciò che Travaglio non si stanca (ma lui ne ha il diritto, gli viene da dio) di fare agli altri? È una vergogna! Uno scandalo! Santoro, che sopporta una sola primadonna, se stesso, ha letto la sua lettera aperta, si è preso un paio di giorni per pensarci sopra e alla fine, senza fretta, gli ha risposto con soavità che, se il caro amico Travaglio decidesse di lasciare la trasmissione, come ha minacciato, be', questa «non sarebbe una catastrofe irreparabile». Rimango, Annozero e Michele Santoro possono sempre contare su di me, ha subito fatto sapere Marco Travaglio. Ma l'affronto rimane, e continua a bruciare. Maledetto Berlusconi, che dei due gazzettieri antipatici e irrispettosi, Belpietro e Porro, è il padrone, o meglio il puparo, anzi il signore feudale! Una riforma della giustizia onesta, ci vorrebbe. Non la riforma del centrodestra, ma una riforma seria, rigorosa, sabauda, che tra i reati puniti con la massima severità, col sequestro dei beni e l'esilio perpetuo, contempli in primis lo svillaneggiamento di Marco Travaglio. Invece niente. A lui, Travaglio, non pensa nessuno, nemmeno Santoro, che un po', diciamolo, ha ingiuriato e infangato anche lui. Ultras delle manette, amico degli amici dei giudici d'assalto, cocco delle meglio procure, l'Integerrimo è furioso e sta facendo il broncio. A differenza del proletariato, che secondo Stalin non era una signorina capricciosa, Marco Travaglio è una signorina capricciosissima.
giovedì
Vino Biologico Italia
In Commissione Europea si anima il dibattito legato alle colture biologiche. L'attenzione è rivolta alla produzione del vino biologico.
La Coldiretti riferisce come l‘attuale legislazione comunitaria preveda come limiti massimi di anidride solforosa (SO2) 150 mg/l per per i vini convenzionali rossi e 200 mg/l per i vini bianchi.
Obiettivo della Coldiretti invece puntare ad abbassare questi valori, per garantire il minore impiego possibile dei solfiti nel vino biologico, sino ad arrivare un giorno all'eliminazione completa.
Il vino biologico inoltre dovrebbe essere prodotto solo in quelle aree, specifica sempre la Coldiretti, realmente vocate alle tecniche di produzione, vinificazione e sperimentazione biologica. In questo modo si garantirebbe la qualità del prodotto.
Mentre l'Associazione si fa portavoce di uno sviluppo del biologico il più possibile purificato da aggiunte di sostanze chimiche, paesi come Austria e Germania si oppongono a queste rischieste. Questi paesi infatti vorrebbero vedere applicati gli stessi parametri per l'aggiunta di solfiiti previsti per il vino tradizionale. La spiegazione di questa opposizione può essere ravvisata nelle condizioni climatiche e ambientali avverse a questa tipologie di colture, rispetto a quelle più tipicamente mediterranee, che non consentirebbero ad Austria e Germania di ottenere una produzione dalle elevate performance qualitative.
Mentre si dibatte in Commissione Europea su questi temi vale la pena ricordare alcuni numeri che la Coldiretti presenta in relazione al mercato del biologico, sia rispetto alle produzione vinicole sia rispetto a quelle alimentari.
Produzione vino biologico Italia
30.000 ettari coltivati
10.000 aziende
Questi ettari sono per lo più dislocati nelle regioni Sicilia, Puglia e Campania con alcune produzioni importanti nel Veneto orientale, che presenta un interessante distretto per il biologico nazionale.
Biologico e consumatori
In base a due ricerche Ismea ACNielsen e Coldiretti/Swg nel 2009 la vendita di prodotti alimentari domestici si è incrementata:
6,9% ad oggi considerato un incremento record per questo settore alimentare [fonte Ismea AcNielsen]
56% degli italiani ha acquistato dei prodotti biologici durante il 2009 [fonte Coldiretti/Swg]
La produzione biologica nazionale, secondo le stime della Coldiretti, presenta un giro di affari di circa 3 miliardi a fronte di 45 mila aziende per un totale di 1 milione di ettari coltivati.
Se questi dati si confrontano da un lato con le nuove abitudini di consumo degli italiani e dall'altro con il boom dell'offerta di nuovi mercati:
32% aziende dove acquistare diretamente
22% aumento agriturismi e boom dei mercati degli agricoltori [fonte Biobank]
emerge chiaramente un quadro che mostra come ai consumi sia legata l'importanza della conoscenza della provonienza dei prodotti.
Per questa ragione la Coldiretti oltre a battersi per una produzione vinicola biologica senza l'intervento di prodotti chimici, come sempre è in prima linea per l'attuazione di misure di trasparenza che fanno bene da un lato ai produttori degli indotti biologici e dall'altro ai consumatori.
Diventa sempre più necessaria l'introduzione, come previsto dal regolamento comunitario, del marchio del biologico italiano, come garanzia per tutti i consumatori sull'origine del prodotto.
Per quanto riguarda invece l'impiego dei solfiti nel vino tradizionale a questo argomento vale la pena dedicare un post a parte visto il forte dibattito in rete e tra gli esperti sugli effetti che l'aggiunta di queste sostanze avrebbero sull'organismo umano.
La Coldiretti riferisce come l‘attuale legislazione comunitaria preveda come limiti massimi di anidride solforosa (SO2) 150 mg/l per per i vini convenzionali rossi e 200 mg/l per i vini bianchi.
Obiettivo della Coldiretti invece puntare ad abbassare questi valori, per garantire il minore impiego possibile dei solfiti nel vino biologico, sino ad arrivare un giorno all'eliminazione completa.
Il vino biologico inoltre dovrebbe essere prodotto solo in quelle aree, specifica sempre la Coldiretti, realmente vocate alle tecniche di produzione, vinificazione e sperimentazione biologica. In questo modo si garantirebbe la qualità del prodotto.
Mentre l'Associazione si fa portavoce di uno sviluppo del biologico il più possibile purificato da aggiunte di sostanze chimiche, paesi come Austria e Germania si oppongono a queste rischieste. Questi paesi infatti vorrebbero vedere applicati gli stessi parametri per l'aggiunta di solfiiti previsti per il vino tradizionale. La spiegazione di questa opposizione può essere ravvisata nelle condizioni climatiche e ambientali avverse a questa tipologie di colture, rispetto a quelle più tipicamente mediterranee, che non consentirebbero ad Austria e Germania di ottenere una produzione dalle elevate performance qualitative.
Mentre si dibatte in Commissione Europea su questi temi vale la pena ricordare alcuni numeri che la Coldiretti presenta in relazione al mercato del biologico, sia rispetto alle produzione vinicole sia rispetto a quelle alimentari.
Produzione vino biologico Italia
30.000 ettari coltivati
10.000 aziende
Questi ettari sono per lo più dislocati nelle regioni Sicilia, Puglia e Campania con alcune produzioni importanti nel Veneto orientale, che presenta un interessante distretto per il biologico nazionale.
Biologico e consumatori
In base a due ricerche Ismea ACNielsen e Coldiretti/Swg nel 2009 la vendita di prodotti alimentari domestici si è incrementata:
6,9% ad oggi considerato un incremento record per questo settore alimentare [fonte Ismea AcNielsen]
56% degli italiani ha acquistato dei prodotti biologici durante il 2009 [fonte Coldiretti/Swg]
La produzione biologica nazionale, secondo le stime della Coldiretti, presenta un giro di affari di circa 3 miliardi a fronte di 45 mila aziende per un totale di 1 milione di ettari coltivati.
Se questi dati si confrontano da un lato con le nuove abitudini di consumo degli italiani e dall'altro con il boom dell'offerta di nuovi mercati:
32% aziende dove acquistare diretamente
22% aumento agriturismi e boom dei mercati degli agricoltori [fonte Biobank]
emerge chiaramente un quadro che mostra come ai consumi sia legata l'importanza della conoscenza della provonienza dei prodotti.
Per questa ragione la Coldiretti oltre a battersi per una produzione vinicola biologica senza l'intervento di prodotti chimici, come sempre è in prima linea per l'attuazione di misure di trasparenza che fanno bene da un lato ai produttori degli indotti biologici e dall'altro ai consumatori.
Diventa sempre più necessaria l'introduzione, come previsto dal regolamento comunitario, del marchio del biologico italiano, come garanzia per tutti i consumatori sull'origine del prodotto.
Per quanto riguarda invece l'impiego dei solfiti nel vino tradizionale a questo argomento vale la pena dedicare un post a parte visto il forte dibattito in rete e tra gli esperti sugli effetti che l'aggiunta di queste sostanze avrebbero sull'organismo umano.
martedì
Impianti pubblicitari a Roma
Pubblicato da fidest su martedì, 16 febbraio 2010
La Giunta comunale ha approvato la delibera che rivoluziona le tipologie degli impianti pubblicitari previsti sul territorio cittadino. Saranno uniformi, in materiale ecocompatibile, color grigio fumo e avranno un disegno classico. Le strutture in vetroresina sono vietate. La riforma del settore inizierà dal I e dal XVII Municipio e le società titolari degli impianti dovranno mettersi in regola entro il 30 giugno. Per chi non osserverà le nuove norme, oltre alle multe, arriverà la revoca dell’autorizzazione. Entro la fine dell’anno sarà pronto il Piano Regolatore degli Impianti Pubblicitari. “Dopo anni e anni di mancata regolamentazione – spiega l’assessore alle Attività Produttive Davide Bordoni – l’amministrazione capitolina sta mettendo mano al delicato settore della cartellonistica pubblicitaria. Oltre a questa delibera, che uniforma la struttura degli impianti per tutelare il decoro della città, da oggi sono online sul sito del Comune, in nome della trasparenza, i dati contenuti nella Nuova Banca Dati. Nel 2007 il Comune incassava circa 9 milioni di euro dalle entrate pubblicitarie mentre oggi nelle casse del Comune arrivano oltre 20 milioni”. “In merito inoltre alle dichiarazioni strumentali e pre-elettorali dei due consiglieri dell’opposizione, apparse oggi sulle agenzie di stampa – aggiunge l’assessore Bordoni – rispondiamo con i numeri messi in campo dall’amministrazione e li invitiamo a valutare le loro dimissioni, visto che in quindici anni di Giunte Rutelli/Veltroni non sono stati in grado di raggiungere i risultati che noi abbiamo raggiunto in due anni. Invitiamo gli esponenti dell’opposizione a presentare proposte costruttive e a non lasciarsi andare a dichiarazioni demagogiche”.
La Giunta comunale ha approvato la delibera che rivoluziona le tipologie degli impianti pubblicitari previsti sul territorio cittadino. Saranno uniformi, in materiale ecocompatibile, color grigio fumo e avranno un disegno classico. Le strutture in vetroresina sono vietate. La riforma del settore inizierà dal I e dal XVII Municipio e le società titolari degli impianti dovranno mettersi in regola entro il 30 giugno. Per chi non osserverà le nuove norme, oltre alle multe, arriverà la revoca dell’autorizzazione. Entro la fine dell’anno sarà pronto il Piano Regolatore degli Impianti Pubblicitari. “Dopo anni e anni di mancata regolamentazione – spiega l’assessore alle Attività Produttive Davide Bordoni – l’amministrazione capitolina sta mettendo mano al delicato settore della cartellonistica pubblicitaria. Oltre a questa delibera, che uniforma la struttura degli impianti per tutelare il decoro della città, da oggi sono online sul sito del Comune, in nome della trasparenza, i dati contenuti nella Nuova Banca Dati. Nel 2007 il Comune incassava circa 9 milioni di euro dalle entrate pubblicitarie mentre oggi nelle casse del Comune arrivano oltre 20 milioni”. “In merito inoltre alle dichiarazioni strumentali e pre-elettorali dei due consiglieri dell’opposizione, apparse oggi sulle agenzie di stampa – aggiunge l’assessore Bordoni – rispondiamo con i numeri messi in campo dall’amministrazione e li invitiamo a valutare le loro dimissioni, visto che in quindici anni di Giunte Rutelli/Veltroni non sono stati in grado di raggiungere i risultati che noi abbiamo raggiunto in due anni. Invitiamo gli esponenti dell’opposizione a presentare proposte costruttive e a non lasciarsi andare a dichiarazioni demagogiche”.
Oggi è la vigilia dell’anniversario di Mani Pulite
Il 17 febbraio 1992 Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, veneranda istituzione di Milano, veniva beccato con le mani nella marmellata mentre intascava una tangente di sette milioni di lire da un imprenditore che gestiva un’impresa di pulizie. Luca Magni s’era messo d’accordo con l’allora pm Antonio Di Pietro per incastrare il politico socialista. E ci riuscì. Fu il primo arresto di quella che poi passò alla storia come Tangentopoli. Muovevo i primi passi da cronista all’Indipendente di Vittorio Feltri e diciotto anni dopo, cari lettori de Il Tempo, eccoci qua a raccontare ancora una storia che somiglia, ma non è uguale. In molti hanno fatto il paragone tra quegli anni e i fatti di questi giorni. Penso sia un parallelismo sbagliato. Provo a mettere nero su bianco il mio pensiero.
Nell’Italia nel 1992 il sistema dei partiti era logorato e in crisi ideologica. La Democrazia cristiana aveva smesso di essere la formazione di riferimento dei cattolici, sul Pci era appena crollato il muro di Berlino e i socialisti sembravano l’unica forza politica dinamica in grado di assicurare al Paese una guida forte e riformista con un leader di sicuro spessore: Bettino Craxi. La Lega era un movimento allo stato nascente, la galassia dei cespugli della Prima Repubblica era poco più di un sistema di piccoli pianeti che ruotava intorno al grande sole democristiano. Le inchieste colpirono per primi i socialisti, guardacaso il solo movimento che aveva ancora una sua «spinta propulsiva».
La decimazione di quel sistema, la fine del finanziamento dei partiti attraverso le tangenti, la rottura del connubio tra poltica e imprese, nel disegno sgangherato dell’epoca avrebbero dovuto consegnare il Paese - per un incredibile paradosso della storia - al movimento che era stato sconfitto dalla storia: il Pci allora guidato da un improbabile leader di nome Achille Occhetto. Quel disegno si scontrò però con un imprevisto: Silvio Berlusconi. Un imprenditore di successo, l’uomo che aveva fondato in Italia la televisione commerciale, decise di dare una speranza ai moderati e ai riformisti italiani - destinati certamente alla sconfitta - scendendo in campo e fondando un movimento politico di nome Forza Italia.
Il destino, che sempre si diverte a giocare a dadi con le nostre vite, decise che i comunisti dovevano comunque pagare gli errori, le omissioni, le complicità con quel grande orrore chiamato comunismo. La gioiosa macchina da guerra del Pci - che dopo il muro di Berlino cambiò ragione sociale in Pds - s’infranse su un altro muro. Quello dell’Italia moderata, quello della maggioranza silenziosa che non ci stava a farsi governare da un partito che prendeva i soldi da Mosca, dalle cooperative rosse e si presentava immacolato per riscuotere l’incasso politico di un’opera di demolizione a senso unico. Il Cavaliere, con la geniale intuizione del self made man, capì che il Paese l’avrebbe seguito, che i tempi per la sinistra italiana al potere erano ancora lontani, che il sistema dei partiti poteva anche andare a carte quarantotto, ma che il sentimento dell’elettorato era ancora solidamente ancorato alle icone di Sturzo e De Gasperi e al dinamismo moderno di un riformista come Craxi.
Berlusconi fu davvero «il nuovo», quella «rivoluzione conservatrice» di cui l’Italia aveva disperato bisogno per non cadere nel baratro. Per questo Berlusconi è stato sempre considerato un’anomalia, un presunto colpevole, un Cavaliere da disarcionare per via giudiziaria. Quello che stiamo vivendo in questi giorni non è un capitolo di Mani Pulite. Quel sistema non esiste più. È solo l’ennesimo gioco sporco per spazzare via Berlusconi. Colpire i suoi simboli - e Bertolaso lo è - per far cadere nella polvere l’unico leader capace di tenere insieme il centrodestra italiano. La fine di Berlusconi coinciderebbe con la rovina del sistema dei partiti che conosciamo oggi, con l’apertura di un periodo di disordine e di confusione.
Il caos che serve ai poteri opachi, irresponsabili, lontani dall’urna e dalla sanzione popolare, per riprendere in mano l’Italia e plasmarla a loro piacimento. Ha ragione Gianfranco Fini: «Chi ruba non lo fa per il partito, ma perché è un ladro». E allora che si faccia piazza pulita dei disonesti, ma non dei servitori dello Stato e della politica.
di Mario Sechi
Nell’Italia nel 1992 il sistema dei partiti era logorato e in crisi ideologica. La Democrazia cristiana aveva smesso di essere la formazione di riferimento dei cattolici, sul Pci era appena crollato il muro di Berlino e i socialisti sembravano l’unica forza politica dinamica in grado di assicurare al Paese una guida forte e riformista con un leader di sicuro spessore: Bettino Craxi. La Lega era un movimento allo stato nascente, la galassia dei cespugli della Prima Repubblica era poco più di un sistema di piccoli pianeti che ruotava intorno al grande sole democristiano. Le inchieste colpirono per primi i socialisti, guardacaso il solo movimento che aveva ancora una sua «spinta propulsiva».
La decimazione di quel sistema, la fine del finanziamento dei partiti attraverso le tangenti, la rottura del connubio tra poltica e imprese, nel disegno sgangherato dell’epoca avrebbero dovuto consegnare il Paese - per un incredibile paradosso della storia - al movimento che era stato sconfitto dalla storia: il Pci allora guidato da un improbabile leader di nome Achille Occhetto. Quel disegno si scontrò però con un imprevisto: Silvio Berlusconi. Un imprenditore di successo, l’uomo che aveva fondato in Italia la televisione commerciale, decise di dare una speranza ai moderati e ai riformisti italiani - destinati certamente alla sconfitta - scendendo in campo e fondando un movimento politico di nome Forza Italia.
Il destino, che sempre si diverte a giocare a dadi con le nostre vite, decise che i comunisti dovevano comunque pagare gli errori, le omissioni, le complicità con quel grande orrore chiamato comunismo. La gioiosa macchina da guerra del Pci - che dopo il muro di Berlino cambiò ragione sociale in Pds - s’infranse su un altro muro. Quello dell’Italia moderata, quello della maggioranza silenziosa che non ci stava a farsi governare da un partito che prendeva i soldi da Mosca, dalle cooperative rosse e si presentava immacolato per riscuotere l’incasso politico di un’opera di demolizione a senso unico. Il Cavaliere, con la geniale intuizione del self made man, capì che il Paese l’avrebbe seguito, che i tempi per la sinistra italiana al potere erano ancora lontani, che il sistema dei partiti poteva anche andare a carte quarantotto, ma che il sentimento dell’elettorato era ancora solidamente ancorato alle icone di Sturzo e De Gasperi e al dinamismo moderno di un riformista come Craxi.
Berlusconi fu davvero «il nuovo», quella «rivoluzione conservatrice» di cui l’Italia aveva disperato bisogno per non cadere nel baratro. Per questo Berlusconi è stato sempre considerato un’anomalia, un presunto colpevole, un Cavaliere da disarcionare per via giudiziaria. Quello che stiamo vivendo in questi giorni non è un capitolo di Mani Pulite. Quel sistema non esiste più. È solo l’ennesimo gioco sporco per spazzare via Berlusconi. Colpire i suoi simboli - e Bertolaso lo è - per far cadere nella polvere l’unico leader capace di tenere insieme il centrodestra italiano. La fine di Berlusconi coinciderebbe con la rovina del sistema dei partiti che conosciamo oggi, con l’apertura di un periodo di disordine e di confusione.
Il caos che serve ai poteri opachi, irresponsabili, lontani dall’urna e dalla sanzione popolare, per riprendere in mano l’Italia e plasmarla a loro piacimento. Ha ragione Gianfranco Fini: «Chi ruba non lo fa per il partito, ma perché è un ladro». E allora che si faccia piazza pulita dei disonesti, ma non dei servitori dello Stato e della politica.
di Mario Sechi
lunedì
POL - Bertolaso, Italia punitrice di se stessa
Roma, 15 feb (Velino) - Da Menandro a Terenzio, dalla commedia greca a quella latina, e perfino - in contesti completamente diversi - da Baudelaire a Guido Gozzano, nella letteratura di tutti i tempi ritorna l’evocazione o il “topos” dell’”eautontimorumenos”, cioè del “punitore di se stesso”. Ma, lasciando da parte il grande teatro e la grande poesia, e scendendo alla piccola cronaca italiana di questi anni, l’impressione è che il nostro Paese, sotto la “guida” dei suoi cosiddetti “intellettuali” di riferimento, e con la grancassa dei media mainstream, abbia un talento speciale nell’autoinfliggersi umiliazioni e castighi ai limiti del masochismo collettivo. La cosa peggiore che, negli Stati Uniti, possa capitare a qualcuno, e in particolare a chi sta all’opposizione, è di essere definiti “unamerican”, di essere percepiti come contrari o estranei all’interesse nazionale e alla cultura del Paese. Qui da noi, pare invece sempre molto eccitante ritagliarsi la parte di chi demolisce le cose che funzionano, o di chi trascura sistematicamente di considerare la parte positiva, illuminata, creativa della nostra società. Il “Taccuino” del Velino, come sapete, ha una fissazione per tutto questo. E davvero, è inspiegabile la disattenzione della cultura e del giornalismo “ufficiali” per le cose che, nel nostro Paese, vanno nella direzione giusta: le famiglie buone amministratrici di se stesse, gli italiani proprietari di case all’85 per cento, il più basso livello di indebitamento privato dell’Occidente avanzato, i 5 milioni e mezzo di piccole e piccolissime imprese (su cui solo negli ultimissimi anni i grandi giornali hanno acceso qualche riflettore, ma con l’ipocrisia di chi - per evidenti ragioni di assetti proprietari - appartiene a tutt’altra area sociale ed economica). In questo quadro, a ben vedere, si colloca il tentativo di linciaggio in corso contro Guido Bertolaso. Non c’è solo la solita ventata giustizialista, con in più il gusto di colpire il governo Berlusconi là dove è stato più apprezzato dall’opinione pubblica, ma c’è qualcosa di più: c’è la voglia, neppure troppo sottotraccia, di demolire quel modello di Protezione civile che, dai casi Campania e Abruzzo, è oggi oggetto di ammirazione, invidia e soprattutto studio, in tutto il mondo. Il resto è una somma di dettagli, o comunque di tecnicalità meno rilevanti: un decreto si può correggere o no, così come è certamente possibile che, nel mare di interventi realizzati in tempi serrati e in totale emergenza, qualcosa possa non essere andato per il verso giusto, in termini di procedure. Ma si tratta di dettagli, appunto: travolti da una furia distruttrice e autodistruttrice dalla quale - per definizione - non può venire nulla di buono.
venerdì
Ultimo Rapporto Audiweb
Due dati, ugualmente degni di nota, emergono dall'ultimo rapporto Audiweb sul rapporto fra italiani e internet. Due aspetti diversi, opposti nei commenti che fanno scaturire, ma entrambi importanti per comprendere la situazione del web nel Paese. Il primo dato riguarda l'aumento dei collegamenti a internet: per l'esattezza, nel 2009 il 64,6% della popolazione fra gli 11 e i 74 anni ha dichiarato di usufruire di un accesso alla rete, pari ad un incremento del 10,4% rispetto al 2008. Per quanto riguarda le famiglie, il 51,9% delle famiglie dispone di un accesso al web, con un aumento del 13,6% rispetto all'anno precedente. Il report Aw Trends, realizzato da Audiweb in collaborazione con Doxa, mostra quindi un avvicinamento del contesto italiano alla situazione degli altri Paesi europei. Parallelamente, le connessioni mobile iniziano a diventare una realtà concreta in Italia, rappresentando il il 9% della popolazione italiana della fascia d'età compresa fra gli 11 e i 74 anni.
Il secondo dato interessa la diffusione della banda larga e soppianta le ipotesi di miglioramento del panorama italiano, scaturite dall'analisi del primo dato. Il tasso di penetrazione delle connessioni broadband, ossia maggiore di 144 Kbps, è pari al 19,8%, a fronte delle più alte percentuali degli altri stati: 37,9% dell'Olanda, 29,4% della Germania e 29,2% della Francia. In definitiva, solo il 30% della popolazione usufruisce della connessione veloce, mentre la restante parte di internauti italiani devono accontentarsi di connessioni analogiche o Adsl con una velocità di 100 Kbps: troppo poco rispetto agli standard internazionali.
L'utilizzo del web ha tutte le carte in regola per affermarsi in Italia, ma le connessioni degli italiani hanno bisogno di premere sull'acceleratore.
mercoledì
Google lancia la nuova sfida ai social network su Gmail
Nel servizio di posta sarebbero pronte funzioni tipiche di Twitter o di Facebook
NEW YORK (9 febbraio 2010) - Google sul web intraprende la strada di una nuova strategia. Il motore di ricerca più cliccato al mondo non lascia nulla al caso, e oggi il colosso della rete ha deciso di lanciare la sua sfida ai social network. Nel servizio di posta di Gmail compariranno funzioni che sono tipiche delle elaborazioni di Twitter o di Facebook, cioè i clienti potranno aggiornare il loro status e condividere tra loro delle informazioni. La stampa specializzata riporta che le novità saranno disponibili nei prossimi giorni, tuttavia Google non ha ancora confermato le indiscrezioni. Il motore di ricerca si starebbe dunque muovendo nella stessa direzione intrapresa da Yahoo che tempo fa che aveva già offerto agli utenti servizi simili a quelli dei social network, come quello di potere scambiare foto con i propri contatti di posta.
NEW YORK (9 febbraio 2010) - Google sul web intraprende la strada di una nuova strategia. Il motore di ricerca più cliccato al mondo non lascia nulla al caso, e oggi il colosso della rete ha deciso di lanciare la sua sfida ai social network. Nel servizio di posta di Gmail compariranno funzioni che sono tipiche delle elaborazioni di Twitter o di Facebook, cioè i clienti potranno aggiornare il loro status e condividere tra loro delle informazioni. La stampa specializzata riporta che le novità saranno disponibili nei prossimi giorni, tuttavia Google non ha ancora confermato le indiscrezioni. Il motore di ricerca si starebbe dunque muovendo nella stessa direzione intrapresa da Yahoo che tempo fa che aveva già offerto agli utenti servizi simili a quelli dei social network, come quello di potere scambiare foto con i propri contatti di posta.
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