di Roberto Vacca, il Caffè, 19/2/2012
In azienda venivano spesso ingegneri americani. Un giorno l’uomo delle pulizie mi disse:
“E’ simpatico Mister Mogren: peccato che non capisco una parola di quel che dice. Mi piacerebbe saper parlare inglese come lei. Se mi scrive su un foglio quali lettere delle parole inglesi corrispondono alle lettere delle parole italiane, vedrà che l’inglese lo imparo subito.”
Gli feci alcuni esempi bilingui di parole e frasi e capì che non si traduce applicando la regola “a numero uguale corrisponde lettera uguale”. I linguaggi umani non sono fatti di lettere singole - e nemmeno di parole, ma di frasi. Le parole vanno messe insieme secondo regole grammaticali. Anche le lingue che hanno poca grammatica (come inglese e cinese) concatenano parole e frasi secondo sintassi. Il significato si altera o si nasconde, se diciamo o scriviamo le parole giuste in ordine sbagliato - proprio come se usassimo parole sbagliate.
I puristi cercano di cristallizzare la lingua, che, invece, viene modificata da immigrati, corrispondenti, viaggiatori e segue mode periodiche. Incorpora parole e costrutti da gruppi professionali e da cricche e da noi che la usiamo. Scriviamo in modo diverso perché digitiamo SMS sul cellulare che abbiamo in tasca [SMS = Short Message Service: curioso che in inglese si chiami “texting” = trasmettere testo. Invece “sexting” vuol dire “fare discorsi a sfondo sessuale usando il cellulare”]. La piccola tastiera è scomoda, così minimizziamo il numero di tasti premuti con abbreviazioni [“xche nn rispondi?” “6 partita?”]. Taluno trascura l’ortografia nelle e-mail - perdonabile. Altri usano acronimi inglesi: LOL (Laughing Out Loud = forti risate), ROFL (Rolling On the Floor Laughing = mi rotolo per terra dalle risate). Questi, però, sono standardizzati e, come le vecchie similitudini, non evocano emozioni. Non fanno nemmeno ridere, come i pupazzetti sorridenti o aggrondati (“emoticon” = icone che denotano emozioni), che si creano con caratteri tipografici: :-) che il mio computer traduce subito in :-( che traduce in , sorrido e strizzo l’occhio. Possono irritare con la loro rozza stenografia.
La tendenza maniacale alla concisione influenza anche la lingua parlata. I linguaggi umani si capiscono perché sono ridondanti. Scriviamo tutte le vocali di ogni parola e, se ne cadono alcune, il senso si conserva. Gli arabi scrivono solo le vocali accentate e le altre si intuiscono: normalmente va tutto bene, ma i rischi crescono.
I messaggi verbali costituiti da una parola sola non hanno struttura - quindi sono ambigui. Certo non esprimono sfumature. Da Roma si diffonde “scialla!” per dire “stai sereno, calmo”, “take it easy”. L’etimologia è oscura. Potrebbe venire dall’arabo Inshallah (Se Dio vuole). Per dire: “No, non ci sto” “Non mi va” “Non partecipo”, pare si dica “piscia!”. Esempio: “Ci ha pisciato” per “non è venuto all’appuntamento”.
Anche i monosillabi “Si” e “No” da soli : non rispondono in modo sensato a tutte le possibili domande. Creano confusione anche le frasi costituite solo da pronomi - “questo”, “quello”, “la seconda che hai detto” e da avverbi. Do un passaggio in auto a una persona e la porto verso la sua zona. Sono incerto a un bivio e chiedo: “Da che parte vado?” Risponde: “Qua.” Invece di “A destra”. Forse ha fatto un gesto con la mano, ma fuori del mio campo visivo: non mi ha detto niente. L’abitudine di usare icone, gesti e toccatine (come con gli schermi touch-screen e con gli iPad) induce a comunicazioni miste, spesso fuorvianti. I militari americani non devono usare “yes” e “no”, ma “Yes! Affirmative” e “No! Negative”. Invece certi giovani rispondono affermativamente col pugno chiuso e il pollice recto anche se ti stanno vicini.
Ci vorrebbe una campagna di rieducazione a comunicazioni verbali univoche e grammaticali, con frasi che contengano: soggetto, verbo, complemento oggetto, altri complementi - e pochi avverbi.
La riforma scolastica, oltre a insegnare l’uso costruttivo di Internet, dovrebbe anche addestrare a scrivere leggibilmente e a parlare senza esitazioni in privato e in pubblico, in modo chiaro ed elegante. Nelle scuole inglesi insegnano perfino a inserire battute di spirito (non stantie) che evochino qualche risatina.
Primo Levi ha scritto: “saremo tanto più utili e graditi agli altri e a noi stessi quanto migliore sarà la qualità della nostra comunicazione” - “chi non sa comunicare o comunica male, è infelice e spande infelicità intorno a sé” - “se non si è chiari non c’è messaggio affatto”.