Perché anche gli ambientalisti si dovrebbero opporre a una burla in forma referendaria
Sul referendum del 17 aprile finora sono state dette cose talmente paradossali che l’unica risposta è scegliere tra un secco NO a prescindere oppure prepararsi ad una bella gita fuori porta, piuttosto che essere di nuovo complici di scelte autolesioniste. Come ha detto qualcuno, “non in mio nome”.
La realtà è che il quesito referendario riguarda solo la durata delle trivellazioni già in atto entro le 12 miglia dalla costa, e non le attività petrolifere sulla terraferma, né quelle in mare che si trovano a una distanza di 22 chilometri dalla costa. Con la vittoria del Sì verranno bloccate tutte le concessioni per estrarre il petrolio quando scadranno i contratti. Saranno interessati dalla misura tre giacimenti mentre, non saranno toccati ben 106 piattaforme petrolifere presenti nel mare italiano per estrarre petrolio o metano.
Il referendum non deciderà nulla sulle nuove perforazioni (altro che NO Trivelle!) ma riguarderà la durata delle concessioni già in essere, dove ci sono già piattaforme di estrazione di gas metano in alcuni casi da 30 anni. Al raggiungimento del quorum, si andrebbe a determinare la cessazione immediata delle attività di estrazione alla scadenza dei contratti, anche qualora sotto ci sia rimasto ancora gas. In pratica da un giorno all’altro rinunceremmo a circa il 60-70% della produzione di gas nazionale.
Non potendo improvvisamente sopperire a questo fabbisogno con le fonti rinnovabili, adeguatamente boicottate dalle lobby che manovrano la politica, il tutto si tradurrebbe in maggiori importazioni ed incremento di traffico navale – che statisticamente è maggiormente soggetto ad incidenti e quindi a disastri ambientali – nei nostri mari, con un forte impatto sulla nostra bolletta energetica e senza alcun miglioramento ambientale, anzi…
Il referendum non fermerà le “trivelle” nelle Tremiti poiché tale pericolo realmente non vi è mai stato. Il referendum non fermerà la dipendenza dell’Italia dal petrolio ma, al contrario, la renderà ancora più dipendente da esso. Le ricadute pratiche riguardano aree marine dove geologicamente si sono accumulati solo giacimenti di gas metano, quindi non sarebbe uno stop al petrolio, che in Italia viene estratto quasi esclusivamente a terra, ma uno stop al gas, ovvero a una fonte energetica più pulita la cui introduzione ha portato alla riduzione dell’uso dei combustibili fossili.
Altro falso propugnato dai soliti noti, è che gli impianti di perforazione uccidono il turismo. La maggiore concentrazione di piattaforme in Italia si ha davanti alla riviera romagnola, che è anche la zona con maggiori presenze turistiche. Estrazione di gas e sviluppo della costiera romagnola sono andati avanti di pari passo da cinquant’anni. Viceversa regioni senza trivelle e che si preoccupano tanto gridando al pericolo, hanno spiagge fatiscenti, depuratori non funzionanti e discariche abusive nel bel mezzo dei parchi naturali e uno spaventoso proliferare di biogas cancerogeno.
Senza contare poi l’ingiustificato e antiscientifico allarme terremoti. Un esito positivo del referendum avrebbe un impatto devastante sull’economia di alcune regioni come Emilia Romagna e Marche, con 6000 persone che perderebbero il lavoro in 2 anni. Di contro, i benefici per l’ambiente sono tutti da dimostrare paragonati alle certezze rappresentate dalle ripercussioni economiche. Tutti vogliamo un mondo più pulito, sappiamo che le rinnovabili sono il futuro ma non ancora il presente purtroppo, e occorre uno sforzo verso la riconversione dotandosi di un Piano Nazionale sull’Energia. Ma affondare il “sistema gas” senza avere la forza di affrontare drasticamente il problema, cioè liberarci dalle bolle speculative come il presunto biogas o gli inceneritori e dalle influenze delle lobby affaristiche, è fare come “il marito che per fare dispetto alla moglie se lo taglia”.
Le ragioni del “sì” all’abrogazione sono portate avanti esclusivamente dallo pseudo ambientalismo di sinistra, con tutte le sue ramificazioni e con le solite argomentazioni incomplete e pavide, quando non economicamente interessate. Si ripropongono i soliti cliché stantii più volte riproposti, mentre nessuna parola sul fatto che se esiste qualcuno che mette a repentaglio il turismo, la pesca e l’ecosistema italiano non è l’attività estrattiva che va avanti da un secolo, ma le politiche criminali imposteci dall’Europa attraverso governi non democraticamente eletti. Con l’usuale atteggiamento vittimistico e anti italiano, si sottolinea che le royalties nostrane sono le più basse al mondo (7% circa) sull’attività estrattiva, dimenticando l’ingente mole di lavoratori impiegati nell’indotto, quasi tutti italiani (e le necessità di più onerose raffinazioni rispetto ai giacimenti stranieri, NdR). Curioso poi che la risposta a guadagni troppo bassi sia la soppressione delle attività e non la lotta per l’innalzamento delle entrate.
Abbiamo il dovere, già ricordato in precedenza, di non lasciare a queste associazioni la libertà di far circolare esclusivamente il proprio messaggio, e soprattutto di continuare a ingannare il popolo facendo passare l’assioma che la difesa dell’ambiente sia esclusivo patrimonio della sinistra radical chic.
Emanuele Campilongo