martedì 10 novembre 2009

L'Istituto del Vino Italiano di Qualita' Grandi Marchi diventa partner dell'IMW

(AGI) - Roma, 19 nov. - Primo ingresso italiano nell'accademia mondiale della viticoltura e dell'enologia. L'Istituto del Vino Italiano di Qualita' Grandi Marchi diventa partner dell'IMW, The Institute of Masters of Wine, la prestigiosa istituzione londinese ( 277 i membri selezionati in tutto il mondo) che da piu' di cinquant'anni si occupa di formare i piu' qualificati esperti internazionali di vino.


Con questo accordo l'Istituto del Vino Italiano di Qualita' Grandi Marchi - anni di storia ed un fatturato di 500milioni di euro nel 2008 - avra' per la prima volta un ruolo attivo nei programmi di istruzione e formazione a livello internazionale. Le diciassette firme icona della qualita' enologica nazionale (Biondi Santi spa, Michele Chiarlo, Ambrogio e Giovanni Folonari, Pio Cesare, Tenuta San Guido, Ca' del Bosco, Umani Ronchi, Carpene' Malvolti, Lungarotti, Masi, Mastroberardino, Alois Lageder, Rivera, Jermann, Donnafugata, Marchesi Antinori, Tasca D'Almerita) svilupperanno infatti programmi ufficiali di studio per i futuri professionisti del settore vitivinicolo con percorsi dedicati al vino italiano, degustazioni internazionali, visite guidate e simposi. Parola d'ordine, diffondere la cultura della qualita' e della scienza del vino con collaborazioni prestigiose e selezionate. I Master of Wine diplomati all?accademia guideranno le degustazioni internazionali dei Grandi Marchi, partecipando anche agli eventi che l'Istituto promuove nel mondo presso i target di stampa specializzata, sommelier, opinion leader e soci dell'IMW.

Per il presidente dell'Istituto Grandi Marchi, Piero Antinori: "La competitivita' e' da tempo una condizione necessaria per sopravvivere anche nel settore vitivinicolo, dove la concorrenza si fa sempre piu' agguerrita e non c?e' piu' spazio per l?improvvisazione. Per questo servono nuovi strumenti e percorsi internazionali per affermare la leadership italiana nel mondo". Opinione condivisa anche Lynne Sherif, vice presidente dell'Istitute of Masters of Wine, secondo il quale "la comunita' mondiale di IMW trarra' beneficio dal poter lavorare a stretto contatto con il gruppo prestigioso rappresentato dall'Istituto Grandi Marchi". Tokio (24 novembre) e Seoul (26 novembre) saranno le prime citta' ad ospitare i corsi di formazione e di degustazione guidata firmati da Istituto Grandi Marchi e Masters of the Wine. I primi appuntamenti della collaborazione Istituto Grandi Marchi e Master of the Wine si svolgeranno a Tokio (24 novembre) e a Seoul (26 novembre).

Pericolo AMIANTO !!!

Articolo del 3 novembre 2009

ENASARCO
Grondaie in V.le degli Ammiragli, 119 - 00136 Roma - Invito a RIMUOVERE !!!
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«Almeno 500 dipendenti della ex compagnia di bandiera Alitalia e delle società di manutenzione da essa controllata hanno respirato amianto» è la denuncia dell’avvocato Ezio Bonanni, da anni in prima linea al fianco delle vittime esposte alla fibra killer. Alcuni giorni fa il tribunale di Napoli ha rigettato l’archiviazione del caso di un impiegato Atitech (le officine di Alitalia) deceduto per mesotelioma nel 2006. Il giudice, ha riconosciuto l’esposizione e chiesto che si indaghi ancora. E già qualche mese fa, la Corte di Appello di Roma aveva condannato l’Inps a riconoscere i benefici previdenziali a un altro lavoratore Alitalia. Dunque qualcosa si muove anche nell’aviazione che è il meno noto tra i settori lavorativi dove l’amianto è stato lavorato, maneggiato, respirato.

Nel 2001 l’Alitalia aveva invitato le officine a rimuovere le parti in amianto ma come si legge nella perizia dell’ingegner Giorgio Onori, almeno fino a 4 anni fa l’amianto era lì: “nel 2005, racconta Onori, non esisteva un ambiente protetto, nelle officine di Fiumicino c’erano bidoni con amianto senza protezioni”.E ora? La —Cai scarica le responsabilità sull’ex società—, ora in liquidazione, ma —la vecchia Alitalia risponde che “il parco veicoli è smembrato e non ci sono più i tecnici per aggiornare i dati agli ultimi 4 anni”.—
Dunque, non si hanno dati né risposte. L’unica certezza è la pericolosità dell’amianto che in Italia, dal 92 è stato messo al bando. Eppure la sua presenza nel Paese è ancora massiccia, respiriamo amianto in città, vicino alle fabbriche e alle discariche ma soprattutto sul posto di lavoro. Basti pensare all’Eternit di Casale Monferrato dove sono morti migliaia di operai e spesso anche i loro familiari, così come alla ex Italcantieri di Monfalcone dove il primo dicembre si aprirà il processo per una ventina di dirigenti per omicidio colposo di 21 operai deceduti. Ma la fibra non risparmia neanche le scuole: l’allarme ha infatti riguardato la scuola Villa Flaminia di Roma, dove i tetti di amianto delle ex caserme adiacenti all’istituto saranno messi in sicurezza a partire da martedì, dopo due anni di inascoltate denunce da parte delle famiglie. Stessa storia a Crotone dove la procura della Repubblica ha scoperto la presenza di amianto non solo in due scuole ma anche nell’ospedale.

Una marea di casi e processi infiniti che molte volte, proprio per i lunghi termini, restano impuniti: è il caso di Silvio la cui battaglia va avanti da troppo tempo, 10 anni. I suoi genitori sono morti per le maledette fibre respirate alla Fibronit nel milanese dove sono morte più di mille persone. Molte accuse di omicidio colposo sono ormai cadute in prescrizione compresa quella che riguarda suo padre.

VINO E SALUTE: L'INTERVENTO DEL PROF ATTILIO GIACOSA

07/11/2009

VINO E SALUTE: L'INTERVENTO DEL PROF ATTILIO GIACOSA / Da Studio Bertollini
Il professor Attilio Giacosa è Direttore del Dipartimento di Gastroenterologia del Policlinico di Monza

Che il bere un buon bicchiere di vino sia un piacere, tutti sono d’accordo. Per contro, pochi sanno che bere vino con moderazione non solo non fa male, ma addirittura allunga la vita e riduce il rischio di sviluppare varie malattie. Quindi bere vino in modo corretto e consapevole rappresenta un vantaggio salutistico rispetto all’essere astemi.

Appare doveroso sottolineare questi concetti proprio adesso, epoca nella quale si assiste ad una criminalizzazione indiscriminata di tutte le bevande alcoliche in virtù degli effetti nocivi sulla salute e sulla guida automobilistica. A questo riguardo occorre effettuare un duplice distinguo.

In primo luogo bisogna sottolineare che l’abuso di alcolici, indistintamente dalla loro natura, è sempre nocivo, sia per i danni dell’assunzione acuta (ebbrezza, torpore, incoerenza logica) sia per quelli correlati all’eccesso cronico (etilismo, malattie del fegato e altri organi). In seconda istanza è bene ricordare la differenza tra vino e altre bevande alcoliche: tutti sappiamo infatti che le stragi del sabato sera non sono certo dovute ad un buon bicchiere di vino consumato durante la cena! Il messaggio nuovo è legato a molti studi scientifici e osservazioni epidemiologiche sugli effetti benefici del consumo abituale e moderato di vino. Il vino è stato studiato sia come bevanda che mediante analisi dettagliata dei molti composti bioattivi ivi contenuti.

Fra i vari principi attivi identificati nel vino, quello più noto è il resveratrolo. Questa sostanza è un antiossidante presente soprattutto nel vino rosso, che avrebbe la capacità di migliorare l’efficienza cellulare attraverso il potenziamento dell’attività mitocondriale, la “centralina” energetica delle cellule. Alcune ricerche sugli animali sembrano dimostrare che il resveratrolo favorisce la longevità, migliora il controllo del diabete, ritarda la comparsa del morbo di Alzheimer e produce un effetto protettivo su cuore e circolazione. A Newcastle, in Inghilterra, è in corso uno studio sperimentale volto proprio a verificare l’effetto del resveratrolo in pillola su pazienti affetti da gravi disturbi mitocondiali, ma altri studi sono all’orizzonte per valutare la possibilità di rallentamento dell’invecchiamento umano.

Sul tema dell’invecchiamento, grande scalpore fece la pubblicazione di un importante studio realizzato nel 1995 a Copenhagen. Questa ricerca, conosciuta come “studio danese”, è stata effettuata su più di 6000 maschi e 7000 femmine in età adulta ed ha dimostrato che il rischio di morire si abbassa fra chi consumava vino con moderazione, rispetto agli astemi e ai forti bevitori. Ma ciò che è altrettanto importante è che questo vantaggio non si verifica fra chi consumava birra o superalcolici.

La ricchezza del vino in polifenoli, dotati di spiccata azione antiossidante (ovvero della capacità di bloccare i radicali liberi nocivi che si formano nell’organismo), costituisce una importante barriera di difesa nei confronti dei danni cardiovascolari. Gli effetti sono rappresentati innanzitutto dalla riduzione della formazione di placche arteriosclerotiche nelle arterie e di conseguenza minor rischio di malattia delle coronarie e infarto cardiaco. Fra i vari polifenoli, sono le procianidine i primattori presenti nel vino. Il loro effetto è talmente significativo che questi composti sono oggi utilizzati dalla industria farmaceutica per la preparazione di farmaci attivi nelle malattie vascolari, sia venose che arteriose.

A questo risultato benefico partecipa anche l’aumento della produzione di ossido nitrico osservata in chi beve abitualmente vino. L’ossido nitrico riduce l’aggregazione delle piastrine, rendendo difficile la formazione di trombi e l’“occlusione” delle arterie. Il vino poi aumenta la formazione di colesterolo buono (Hdl) e riduce la presenza e la attività del colesterolo Ldl (quello “cattivo”), con innegabili effetti benefici in campo cardiovascolare. Un’altra area di grande interesse è rappresentata dalle problematiche neurologiche. Il consumo corretto e abituale di vino appare statisticamente correlato ad una riduzione del rischio di sviluppare ictus, cioè infarto cerebrale, e Tia (episodi di ischemia cerebrale transitoria, con perdita per tempo molto breve di alcune funzioni motorie o della capacità di parlare correttamente). Altri interessanti dati in corso di analisi sono quelli legati alla possibilità di ridurre il rischio di gravi degenerazioni cerebrali (morbo di Alzheimer, demenza senile). Numerose ricerche documentano che il regolare consumo di vino ha effetti favorevoli sia sulla frequenza con cui il morbo di Alzheimer si manifesta, sia sull’età di insorgenza, che viene ritardata di almeno tre anni (in un importante studio condotto sull’argomento).

Il vino, quindi, non per curare le malattie, ma per prevenire e ridurre il rischio di sviluppare molti gravi disturbi cardiovascolari e neurologici. Per ottenere questi effetti, certo è che il consumo abituale e corretto di vino è ampiamente da preferire al ricorso ad una pillola contenente principi attivi derivati dal vino. Resta il problema della giusta dose di vino, volta a garantire gli effetti ora menzionati. A questo riguardo i ricercatori impegnati nel settore hanno identificato in due bicchieri al giorno la quantità ottimale per la popolazione di sesso maschile. Il vino, coniugato al femminile, prevede invece una dose leggermente inferiore (un bicchiere), in virtù di differenze metaboliche ed epidemiologiche.

Il vino dunque non solo come bevanda ricca di gusto e piacere, ma anche come fonte di salute e di potenzialità preventiva. Il vino che non solo non fa male, ma addirittura fa bene. Bere vino, dunque, anziché essere astemi, se si vuole proteggere la salute. Ed è proprio questo si deve valorizzare e diffondere fra produttori e consumatori di vino. Infatti soltanto l’informazione precisa e puntuale e l’educazione al consumo consapevole di vino possono promuovere serenità e fiducia fra vignaioli e produttori e soprattutto tranquillità e salute fra i consumatori.

lunedì 9 novembre 2009

H1N1: IL GRANDE BLUFF ???

Dichiarazione che non lascia dubbi su cosa sia sensato fare in merito al vaccino dell influenza suina !

Cosa dire ?  Informiamoci al meglio e decidiamo con la nostra testa !

Lavoratori di Serie "B"

Comunicato appena pervenuto che, in nome del "GIORNALISMO",
và verificato e poi diffuso col massimo impegno !

AGILE (ex EUTELIA)
COME LICENZIARE 9000 PERSONE SENZA CHE NESSUNO SE NE ACCORGA !!!
E' iniziato il licenziamento dei primi 1200 lavoratori di :
OLIVETTI-GETRONICS-BULL-EUTELIA-NOICOM-EDISONTEL TUTTI CONFLUITI IN:
AGILE s.r.l. ora Gruppo Omega

Agile ex Eutelia è stata consegnata a professionisti del FALLIMENTO.
Agile ex Eutelia è stata svuotata di ogni bene mobile ed immobile.
Agile ex Eutelia è stata condotta con maestria alla perdita di commesse e clienti .

Il gruppo Omega continua la sua opera di killer di aziende in crisi, l'ultima è Phonemedia 6600 dipendenti che subirà a breve la stessa sorte.

Questo l'appello dei lavoratori !!!

"Siamo una realtà di quasi 10.000 dipendenti e considerando che ognuno di noi ha una famiglia, le persone coinvolte sono circa 40.000 eppure nessuno parla di noi. Abbiamo bisogno di visibilità Mediatica, malgrado le nostre manifestazioni nelle maggiori città italiane (Roma - Siena Montepaschi - Milano - Torino - Ivrea - Bari - Napoli - Arezzo) e che alcuni di noi sono saliti sui TETTI, altri si sono INCATENATI a Roma in piazza Barberini, nessun Giornale a tiratura NAZIONALE si è occupato di noi ad eccezione dei TG REGIONALI e GIORNALI LOCALI.
NON siamo mai stati nominati in nessun TELEGIORNALE NAZIONALE perchè la parola d'ordine è che se non siamo visibili all'opinione pubblica il PROBLEMA NON ESISTE.
Dal 4 Novembre 2009 le nostre principali sedi sono PRESIDIATE con assemblee permanenti.
Se sei solidale con noi INOLTRA QUESTA MAIL ad almeno 10 amici nei prossimi 30 minuti, non ti costa nulla, ma avrai il ringraziamento di tutti i lavoratori e le Lavoratrici di Agile ex Eutelia che da mesi sono senza stipendio. Altrimenti questa azienda morirà !

Le Lavoratrici e i Lavoratori di Agile s.r.l. - ex Eutelia.

Enzo Tortora e la Responsabilità dei Magistrati !!!

Sembra registrato oggi e sono passati più di vent'anni !

martedì 3 novembre 2009

A proposito del Crocefisso !

Quando si smetterà di trascurare le vittime considerandole, a volte, colpevoli ?
La tanto abusata parola LIBERTA' non è quella di negare i diritti degli altri ma di rispettarli facendo rispettare i propri. Solo un esempio: Chi chiede di togliere dalla vista un Simbolo Religioso, caro a molti, offende il loro Culto e la loro persona. Chi chiede di poter esporre tutti i Simboli Religiosi, per il rispetto del Credo di ognuno, dimostra di aver capito il termine RISPETTO. La Civiltà dell’illuminismo non può accettare la negazione del pensiero altrui ma deve difenderne il diritto di professarlo. In nome di uno Stato Laico si tende a farlo Ateo. Sempre nel Rispetto di tutti, nelle scuole di ogni ordine e grado, si dovrebbe sempre insegnare Storia delle Religioni e non Religione, ogni essere umano sarà poi in grado di seguire quella che più ritiene sua. Tempo fa qualcuno ha scritto qualcosa che voglio ricordare, prima di tutto a me stesso: la strada della crescita interiore è faticosa e solo con la Tolleranza ed il Rispetto per gli altri si potrà ottenere l’Uguaglianza; non certo continuando a chiederla senza riconoscerla e senza mai ricordare che: Si ascolta con le Orecchie ma si Sente con il Cuore. Si guarda con gli Occhi ma si Vede con il Cervello e che, per chi continua ad usare sempre e solo la Lingua e mai le Orecchie, la crescita si farà ancor più difficile sino a divenire una lontana Illusione.

IL VOSTRO UFFICIO STAMPA

venerdì 30 ottobre 2009

Metodo Martinotti (Charmat) o Metodo Classico (Champenoise) ?!

Metodo Martinotti (Charmat) o Metodo Classico (Champenoise) !
Quanti conoscono la differenza ?

Quando chiediamo uno Spumante ad un Wine-Bar o ad un Ristorante e ci rivolgiamo ad una persona con un minimo di preparazione, dovremmo stare attenti se alla nostra richiesta di uno Spumante Metodo Classico (Champenoise) viene servito un Prosecco o alla richiesta di un Prosecco Metodo Martinotti (Charmat) viene servito un Brut Classico.

Tentiamo di fare chiarezza sulle differenze che contraddistinguono questi due metodi di spumantizzazione (Metodo Classico e Metodo Martinotti) che in Francia vengono denominati (Metoto Champenois e Metodo Charmat).

Fu il casalese Federico Martinotti, direttore per l’Istituto Sperimentale per l’Enologia di Asti, ad inventare negli anni venti il metodo di rifermentazione controllata in grandi recipienti, poi adottato dal francese Charmat.
Il francese Eugène Charmat costruì e brevettò tale attrezzatura, da qui il doppio nome, Metodo Martinotti-Charmat.

Il Metodo Martinotti permette di ottenere spumanti, spesso dolci, dalle caratteristiche note fruttate, per mezzo di recipienti a tenuta stagna tipo Autoclave. Questo metodo ha trovato larga diffusione in quanto più idoneo alla produzione di vini spumanti utilizzando vitigni aromatici o fruttati (Moscato o Prosecco). Infatti la lunga sosta su lievito tipica del Metodo Classico o Champenoise nuocerebbe all’espressione del profumo dei vini derivati dai suddetti vitigni. Le uve utilizzate possono essere quelle del metodo classico ma visto che il metodo ottiene colori più tenui, paglierino con vena verdolina, sapori più freschi e meno strutturati, profumi meno intensi, le uve più apprezzate sono il Moscato, il Prosecco, la Malvasia e non per ultima il Brachetto.

La sostanziale differenza è la spumantizzazione o meglio la presa di spuma che per il Metodo Martinotti (Prosecco) avviene in Autoclave (grande cisterna di acciaio, ermetica, che resiste alla pressione di 6-9 Atm, col controllo della temperatura, per poter gestire meglio la lavorazione), mentre per il Metodo Classico avviene in bottiglia. Per entrambe le lavorazioni viene preparata una base di vino fermo alla quale viene aggiunto il (liquore di tiraggio) costituito da vino base più lieviti selezionati e zucchero di canna, la quantità dello zucchero dipenderà dalla pressione che si vorrà far raggiungere allo spumante (ogni 4 grammi litro salirà un’Atm). I lieviti, nutrendosi dello zucchero, produrranno l’anidride carbonica (bollicine).

Inoltre a questa differenza ritenuta essenziale per la diversificazione dei due metodi esistono altre differenze che andranno a dare un contributo importante alla caratterizzazione organolettica dei due prodotti finali.

Nel Metodo Martinotti il tempo di spumantizzazione è breve (pochi mesi), viene fatto sotto controllo della temperatura e una volta spumantizzato e filtrato è pronto per l’imbottigliamento e la commercializzazione.
Nel Metodo Classico il tempo della fermentazione e più lungo, spesso vengono assemblate più annate e più vini per la base da spumantizzare, viene aggiunto il liquore di tiraggio (lieviti selezionati e zucchero) ed imbottigliato col tappo a corona per effettuare poi la sucessiva stappattura per l’eliminazione del deposito formato dai lieviti nel collo della bottiglia. Le bottiglie una volta tappate vengono accatastate e messe in orizzontale per un periodo da 1 a 4 o più anni. Dopo la Sboccatura (Degorgement) dove si eliminano i depositi, per ripristinare il livello giusto in bottiglia si procede all’aggiunta del liquore di spedizione (vino base con un grado zuccherino diverso) per distinguere lo spumante tra Brut, Extra Dry, Dry ecc. in aggiunta a questo vino base, qualche azienda, per dare al prodotto un carattere personale, aggiunge una piccola dose si distillato.

Da tutto ciò si può dire che un Prosecco è un vino più semplice, da bere spensieratamente, più fresco nei gusti e nella temperatura di servizio, fruttato, floreale con sentori di mela, pera, fiori d’acacia, bevuto come aperitivo, mentre il Metodo Classico è uno spumante più impegnativo, complesso, che può essere anche da tutto pasto, con sentori di frutta matura, agrumi, frutta esotica, floreale, crosta di pane e lieviti.

Bè, ora direi di passare all'assaggio, prima di un Prosecco di Cartizze (Collina di Eccellenza)
e poi di un Grande Brut Metodo Classico.

Un evviva per il bere consapevole, come sempre,
la Qualità è nemica della Quantità.

www.studiobertollini.com

venerdì 23 ottobre 2009

Petizione - Basta con la Giustizia Lenta !

Potete firmare questa petizione ? : "Basta con la Giustizia lenta !"

Un Grazie sincero.

Seguite questo:

http://firmiamo.it/basta-con-la-giustizia-lenta

Grazie a tutti.
                                 Giancarlo Bertollini

mercoledì 21 ottobre 2009

LA PENSIONE ED I PROBLEMI

Il monito del governatore Draghi: è necessario alzare l'età pensionabile.


Per il numero uno di Bankitalia ciò è indispensabile.

TORINO (13 ottobre 2009) - "E' indispensabile un aumento significativo dell'età media effettiva di pensionamento". Così ha detto Mario Draghi. Per il governatore di Bankitalia, ciò è indispensabile "per assicurare prestazioni di importo adeguato a un numero crescente di pensionati".

"Superata la fase di emergenza - ha detto nella lezione al collegio Carlo Alberto di Moncalieri - resta la necessità di adeguare il sistema di ammortizzatori sociali a un mercato del lavoro diventato più flessibile". Lo ha detto il governatore di Bankitalia aggiungendo come in questo modo ''ne sarebbe favorita la mobilità del lavoro, accresciuta l'efficienza produttiva, rafforzata la tutela dei lavoratori, aumentata l'equità sociale''.

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Roma ottobre 2009

Giancarlo Bertollini

Bene Signori, a quando l'eliminazione fisica degli individui prossimi alla Pensione ?

Da oltre 15 anni svolgo solo lavori occasionali con Partita IVA e la Pensione, data per "Certa", l'ho vista allontanarsi man mano che mi avvicinavo all'età.
Ora ho 64 anni e compirò il mio sessantacinquesimo il 17 maggio del 2010 e continuo a sentir parlare di tutela ed equità, forse quella della Caritas.

Le "Protezioni", gli Ammortizzatori Sociali, i Cortei, i Sindacati e tutte le attività di intervento sono sempre puntate sui "Lavoratori" a stipendio, quelli che non hanno uno stipendio sono "Condannati a Morte".

Grazie, Grazie di Cuore; che il Signore Vi salvi dal provare Cosa Significa.

                                                            Giancarlo Bertollini

www.studiobertollini.com

Comunicati Stampa 2009: Enogastronomia & Salute

Comunicati Stampa 2009: Enogastronomia & Salute

Energia & Dintorni - Siamo Realmente Informati ?

Non condivido le Tue idee ma lotterò fino alla morte affinché Tu
(come me) possa liberamente esprimere il Tuo Pensiero.
(Voltaire - Evelyn Beatrice Hall)

Centrali Nucleari.

Le bombe su Hiroshima e Nagasaki, con le migliaia di morti che provocarono e per le dolorose conseguenze genetiche che cagionarono, hanno rappresentato una delle manifestazioni più terribili della malvagità umana e tutti si augurano che una simile tragedia non abbia più a ripetersi. D'altra parte anche l’uso pacifico del nucleare come fonte energetica alternativa è ritenuta un reale pericolo per la salute e per l’ambiente, come in modo inequivocabile ha dimostrato l’incidente di Chernobyl.

Bilancio di un Disastro.
Siamo proprio sicuri che l’incidente avvenuto in vicinanza della piccola cittadina ucraina abbia rappresentato una delle peggiori sciagure in campo tecnologico? Non furono forse i media ad enfatizzare quel malaugurato episodio indubbiamente grave, ma non tanto come lo si vuol fare apparire? Prima di dare un giudizio definitivo di quel tragico evento cerchiamo di capire come ciò possa essere accaduto.
Innanzitutto bisogna chiarire che a quel disastro, che non potrebbe nemmeno definirsi "incidente", contribuirono numerose cause, la prima delle quali riguarda la costruzione della centrale, che era priva di alcune indispensabili strutture di sicurezza a cominciare dalla mancanza di una protezione di cemento armato sovrastante il reattore.
Con le più elementari regole di Sicurezza, ampiamente utilizzate in Occidente, l’energia nucleare si rivela una forma di energia sicura e affidabile e ciò è dimostrato proprio dall’incidente di Chernobyl. In cinquant’anni di nucleare quello successo nella centrale sistemata in vicinanza della cittadina ucraina, è il più grave che si sia mai verificato ed ha comportato una sessantina di morti. Nel frattempo gli incidenti nelle centrali in cui si fa uso dei combustibili fossili hanno provocato oltre 15.000 morti e perfino il sicuro ed ecologico idroelettrico ne ha causati 4.000. Se il nucleare avesse avuto lo stesso numero di vittime delle altre fonti energetiche la sua utilizzazione come fonte di energia sarebbe finita da un pezzo.
Bisogna inoltre tener conto dei rischi che si corrono nella estrazione dei combustibili fossili rispetto all’estrazione dei minerali di uranio. Lavorare in una miniera di uranio, fonte di energia nucleare, è dieci volte meno pericoloso che lavorare in una miniera di carbone, poiché quest'ultimo è in assoluto la fonte di energia che provoca più morti: 6-7 mila all’anno senza contare le vittime della silicosi che colpisce tutti i minatori.
Anche il gas naturale rappresenta un pericolo. Nel 1984 si verificò in Messico l’esplosione di diversi serbatoi di gas liquido che uccisero sul colpo 550 persone e ne ferirono 7000, sicché il suo trasporto potrebbe provocare il peggior incidente immaginabile. Qualora una nave metanifera che trasporta gas liquefatto a bassissima temperatura, in vicinanza della costa, per un incidente, dovesse spezzarsi e riversare in mare anche solo parte del suo carico, si provocherebbe una enorme nuvola fredda e densa di gas che spinta dai venti sulla terraferma potrebbe esplodere liberando una potenza paragonabile a quella di una bomba atomica.
Anche il petrolio ha causato ingenti danni che non sono solo quelli, peraltro gravissimi per l’ambiente, provocati dalle petroliere che hanno riversato in mare il loro contenuto sporcando le coste e uccidendo gli uccelli marini che, con il corpo imbrattato di catrame, non riuscivano più ad alzarsi in volo. Ai disastri ambientali vanno accostate anche le migliaia di morti avvenuta per l’esplosione di oleodotti e depositi con conseguenti incendi che hanno interessato le abitazioni poste in vicinanza dei grossi serbatoi di carburante. Perfino l’idroelettrico, può creare catastrofi imputabili a dissesti idrogeologici.
Certo, quello di Chernobyl non è stato l’unico incidente accaduto nelle centrali nucleari ma negli altri casi, fatta eccezione per uno solo di essi, si è sempre trattato di incidenti di piccola entità simili ai tanti che si verificano in centrali di altro tipo. Il 28 marzo del 1979 si verificò quello di Three Mile Island, località nei pressi di Herrisburg in Pennsylvania (USA) il più grave mai avvenuto prima di Chernobyl e il più grave in assoluto per i Paesi dell'occidente. Ebbene, in quella occasione non vi fu nemmeno un morto, non scoppiò la bolla di idrogeno che si formò nel reattore, a differenza di quanto avvenne a Chernobyl, né ci fu alcun incendio e la radioattività rilasciata nell’ambiente fu minima. Gli ufficiali sanitari della Pennsylvania e del vicino Stato di New York riferirono che una certa quantità di iodio radioattivo era stata rinvenuta nel latte, ma si trattava di una quantità minima solo leggermente superiore al limite di percezione strumentale. Tuttavia i costi della decontaminazione vennero stimati in miliardi di dollari ma i danni maggiori furono indiretti, in quanto dal giorno di quell’incidente ad oggi negli Stati Uniti non sono più state costruite centrali nucleari. In realtà quell’incidente ebbe anche aspetti positivi perché contribuì a rendere ancora più sicure le centrali esistenti che passarono da un utilizzo di meno del 60% ad oltre l’80%: come se fossero stati costruiti 30 nuovi reattori.
Attualmente nel mondo i reattori in attività sono 400 e producono il 17% dell’energia elettrica richiesta. In Europa le centrali nucleari sono 150 e soddisfano il 36 per cento del bisogno elettrico e la Francia, con l’80% di produzione di energia elettrica dal nucleare, ne detiene il primato.
Anche la disinformazione gioca un ruolo importante nel mettere in cattiva luce l’energia nucleare. Recentemente, in seguito al terremoto che ha colpito il Giappone danneggiando una centrale nucleare di quel Paese, si disperse nell’ambiente una certa quantità di acqua pesante. La TV nazionale diffuse la notizia che era fuoriuscita dalla centrale dell’acqua pesante radioattiva, ma quella che viene usata in alcune centrali nucleari non è radioattiva: essa serve semplicemente a rallentare i neutroni svolgendo le stesse funzioni che in altri impianti compie la grafite. In realtà il nucleare (se non ci sono incidenti) non induce inquinamento radioattivo di alcun genere; al contrario le centrali nucleari evitano che ogni giorno vengano immessi nell’atmosfera quasi due miliardi di tonnellate di anidride carbonica derivanti dall’uso dei combustibili fossili. Proprio questo tipo di gas, oltre a milioni di tonnellate di ossidi di zolfo e di azoto, molto pericolosi per la salute dell’uomo, è uno dei maggiori responsabili del cosiddetto effetto serra.
Il problema immediato più grave rimane quello dei rifiuti nucleari ma anche in questo caso la soluzione è stata trovata e se si è verificata qualche incomprensione ciò ha riguardato una cattiva informazione. In tutti i Paesi in cui si fa uso di nucleare sono stati individuati siti adatti per la conservazione delle scorie radioattive. Queste vengono prima “vetrificate”, cioè fuse insieme con vetro e zucchero, quindi chiuse in robusti recipienti di acciaio e sistemate in profondità della crosta terrestre in zone asciutte come sono, ad esempio, le cave di sale nelle quali, se ci fossero infiltrazioni d’acqua, il sale si scioglierebbe.
Se in Italia si ricavasse attraverso il nucleare l’elettricità che compriamo all’estero, prodotta dalla stessa fonte, la quantità di scorie generate in un anno potrebbero essere contenute in una ventina di cilindri di acciaio da sistemarsi in un sito sicuro che era stato individuato dagli esperti nella zona di Scanzano Jonico a 700 metri di profondità. A questo punto però è scattato il cosiddetto effetto “Nimby” (acronimo di Not in my backyard, cioè “Non nel mio giardino”). Nessuno vuole nelle proprie vicinanze depositi di scorie radioattive, ma nemmeno centrali nucleari o di altro tipo, termovalorizzatori, discariche a cielo aperto o qualsiasi altra struttura che possa allarmare la popolazione locale. Gli attivisti anti-nucleari si sono subito dati da fare per allarmare la popolazione locale allo scopo di intralciare la realizzazione di un ottimo sito per eliminare le poche scorie giacenti nelle tre centrali nucleari che non funzionano. Viene da pensare che se alcuni critici anti-nucleari riuscissero a provocare un incidente nucleare, sarebbero contentissimi di farlo.
Non tutte le scorie nucleari d'altronde sono da buttare: il cesio 137, ad esempio, è utilizzato per la radioterapia dei tumori. Altri elementi prodotti dalle reazioni di fissione servono per sterilizzare gli alimenti o per dare energia ai satelliti. Ma esistono anche alcuni prototipi di centrale nucleare nei quali l’uranio 238, che negli impianti in funzione viene considerato una scoria, è invece utilizzato per produrre energia. Si tratta dei cosiddetti reattori autofertilizzanti nei quali l’uranio 238, colpito da neutroni veloci, si trasforma in plutonio 239: un elemento che non esiste in natura e che viene usato come combustibile. I reattori autofertilizzanti così chiamati in quanto producono più combustibile di quanto ne consumino non si sono ancora affermati perché, ai costi attuali dell’uranio, sono più convenienti i reattori tradizionali; peraltro si deve pur citare l'esistenza del Superphoenix un progetto francese alla realizzazione del quale ha partecipato anche l’Italia.
Ci sono anche problemi di sicurezza in quanto il plutonio può essere impiegato, più facilmente dell’uranio, per costruire armi atomiche. L’uranio infatti per costruire bombe atomiche deve essere arricchito dell’isotopo 235 all’85% e non al solo 2 o 3 per cento. L’Iran è in grado di fare queste operazioni ed è proprio per questo motivo che la comunità internazionale non si fida delle dichiarazioni tranquillizzanti di quel governo.
Concludendo, il bilancio finale del disastro di Chernobyl dovrebbe essere di 32 vittime quasi immediate, altre 19 negli anni successivi, 15 bambini vittime di tumori alla tiroide su 4000 casi complessivi, oltre a 9000 possibili decessi nell’arco di 80 anni. Se, in ultima analisi, si confrontasse il numero dei morti accertati dell’incidente di Chernobyl con quello del disastro del Vajont in cui perirono in pochi minuti quasi 2000 persone vittime, è bene sottolinearlo, di una forma di energia “pulita” ed ecologica a differenza di quella nucleare che da molti viene giudicata “sporca” e inquinante, si vedrebbe che quest'ultimo è quasi irrisorio. Si è anche parlato di danni genetici ma il rapporto del Chernobyl Forum ha potuto accertare che nella zona colpita non vi è stato alcun aumento di alterazioni cromosomiche o malformazioni congenite.

Centrali TermoElettriche.
Uno studio del C.N.R., a firma di Nicola Armaroli e Claudio Po, pubblicato sulla rivista "Chimica ed industria" descrive quanti e quali inquinanti vengano scaricati in aria da centrali termoelettriche di dimensioni pari a quella presa in esame (760 MG/W): oltre 1.500.000 tonnellate/anno di Anidride carbonica CO2, gas il cui effetto serra è universalmente noto; oltre 1.500 tonnellate/anno di ossido di azoto NOx, pericoloso sia di per sé sia perché precursore dell'ozono, gas velenoso per gli esseri viventi; 290 tonnellate/anno di particolato (polveri fini) PM10, il più pericoloso degli inquinanti per la salute umana o formazione di polveri fini secondarie che, secondo dati dell'Agenzia Ambientale Europea, sono la parte preponderante del particolato fine prodotto dagli impianti energetici; oltre 200 tonnellate/anno di metano incombusto, gas ad effetto serra 21 volte più potente della CO2; o 126 tonnellate/anno di monossido di carbonio CO, gas notoriamente velenoso; oltre 90 tonnellate/anno di Ammoniaca NH3C; oltre 40 tonnellate/anno di formaldeide CH2O, fortemente cancerogena; o 9 tonnellate/anno di ossidi di zolfo SOx; o 47 tonnellate/anno di altri idrocarburi: benzene (cancerogeno) ed altri idrocarburi aromatici tossici o cancerogeni.

Centrali IdroElettriche.
Problemi ambientali possono essere costituiti dal fatto che gli sbarramenti (dighe) bloccano il trasporto solido dei fiumi (sabbie e ghiaie) alterando l'equilibrio tra l'apporto solido e l'attività erosiva nel corso d'acqua a valle (erosione del letto del fiume e, talvolta, "taglio dei meandri" per la maggiore velocità) fino al mare dove, per il diminuito o nullo apporto solido si assiste al fenomeno dell'erosione delle coste; per non parlare dell'impossibilità dei pesci di risalire la corrente per andare a depositare le uova, col conseguente rischio per la specie e quel che ne consegue. Grandi bacini idroelettrici inoltre possono in alcuni casi avere impatti ambientali e socio-economici di diversa entità o gravità sulle zone circostanti (modifica del paesaggio e distruzione di habitat naturali, spostamenti di popolazione, perdita di aree agricole, ecc.) e lo studio di fattibilità deve essere particolarmente accurato soprattutto per quanto concerne l'analisi puntuale della geologia dei versanti e delle "spalle" su cui si attesterà la diga non tralasciando alcun particolare. Solo così si potranno evitare tragedie quali quella che nell'autunno del 1963 sconvolse la valle del Vajont (cancellando la cittadina di Longarone e d altri due centri del fondovalle con 1970 vittime).
Il gestore di un impianto idroelettrico di potenza nominale superiore a 220 kW deve corrispondere agli enti pubblici locali (comuni, provincia e regione) i cosiddetti Canoni Idrici, per la concessione e lo sfruttamento di acque pubbliche.

Energia Alternativa.
Per fonte di energia alternativa si intende un modo di ottenere energia elettrica fondamentalmente differente da quella ottenuta con l'utilizzo dei combustibili fossili, che costituiscono le fonti "non rinnovabili".
Spesso tale classe di fonti energetiche viene confusa o assimilata a quella delle fonti di energia rinnovabile (che in inglese sono sinonimi) o anche a quella delle fonti energetiche in grado di permettere uno sviluppo sostenibile. In realtà le fonti di energia alternativa comprendono una classe più ampia di forme di produzione di energia comprendendo "qualunque" modo di produzione di energia che non avvenga mediante l'utilizzo di combustibili fossili. Una differenza sostanziale ad esempio è la presenza fra le fonti alternative dell'energia nucleare, che non viene compresa nelle altre due classi.
Il termine divenne di uso comune negli anni '70, a valle delle crisi petrolifere del 1973 e 1979, che avevano fatto vedere in maniera chiara le problematiche poste da un mondo dell'energia troppo dipendente dal petrolio e, in generale, dall'approvvigionamento di fonti fossili.
Negli ultimi trent'anni sono state investite nella ricerca in tal senso molte risorse umane ed economiche. Nonostante ciò, uno dei problemi è rappresentato da conflitti d'interesse tra chi dovrebbe investire i fondi nella ricerca e chi produce attualmente l'energia o chi vende petrolio: di conseguenza vengono a mancare le alternative per il futuro.
Ad oggi sta aumentando, da parte di numerosi ricercatori la preoccupazione per il futuro energetico dell'umanità. Secondo modelli ritenuti generalmente validi come ad esempio il modello di Hubbert, sembra che il petrolio sia in fase di esaurimento (molti pensano che si stia superando il picco di Hubbert). Se ciò si rivelasse vero, provocherebbe delle ripercussioni enormi (alcuni parlano di ripercussioni catastrofiche) sull'economia, lo sviluppo e il sostentamento dell'umanità nei prossimi decenni (in particolare del mondo industrializzato, che maggiormente utilizza queste fonti), in quanto estremamente dipendenti dal petrolio. Una via indicata da molti per non incappare in questi eventi, è l'emancipazione dall'utilizzo del petrolio come fonte energetica, investendo risorse, ricerca e fondi nello sviluppo di fonti alternative di energia, che attualmente ricoprono una percentuale pari a circa il 20% della produzione energetica mondiale.

Risulta pertanto FONDAMENTALE procedere ad uno sviluppo che tenga sempre presente il FRAZIONAMENTO DEL RISCHIO, non facendosi illusioni di poter produrre energia senza rischi ma riducendoli al minimo, non consentendo a nessun tipo di produzione di superare il 15 max 20% del fabbisogno energetico. 

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