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martedì 28 aprile 2015

Il Cav. crocifisso per scherzi e battute. Ma la sua politica estera era un trionfo.

Dalle celebri corna al vertice spagnolo 
al cucù alla cancelliera di ferro.
Diciamolo: il concetto di «formale», se riferito a Silvio Berlusconi assume un significato un po’ particolare. Per il suo modo, personalissimo, di presentarsi sulla scena internazionale il Cav è stato letteralmente crocifisso. Dai gesti apotropaici (un modo scientifico per definire le corna e le «toccatine»), alla scelta dei cappelli con l’amico Putin il personaggio Berlusconi è stato facile bersaglio per politici e giornalisti a caccia di facili polemiche. Ma in vent’anni (più o meno) di politica estera il Cavaliere non ha mai sbagliato nulla e la solidità dei suoi progetti appare ancor più lampante oggi, con un governo in carica, quello di Renzi, sì «politicamente corretto», ma che non riesce a cavare un ragno dal buco. È vero: Berlusconi ha fatto il gesto delle corna ad un vertice internazionale. Ricordiamo il fatto: correva l’anno 2002, Silvio venne invitato (nella sua veste di responsabile ad interim della Farnesina) al vertice dei ministri degli Esteri europei, nella città spagnola di Caceres. Durante la foto ricordo, quella ufficiale che resta negli archivi, al Cav l’atmosfera sembra troppo formale. Non resiste alla tentazione, piazzato davanti al ministro degli Esteri spagnolo Josep Piqué, sorride e fa le corna. C’è un esercito di fotografi e cameraman che, naturalmente, non si fa sfuggire l’occasione. I «sinistri italici» ci hanno inzuppato e ancora oggi ci inzuppano il pane. Ma la politica estera di Berlusconi, quella vera, non quella delle chiacchiere, è da record: è l’unico leader politico ad aver presieduto per tre volte il G8: a Napoli, nel 1994, quando Forza Italia entra per la prima volta in Parlamento, a Genova nel 2001 e poi a L’Aquila nel 2009. C’è poi il cucù alla Merkel. Accade tutto al vertice italo-tedesco di Trieste. Il presidente del Consiglio, nell’accogliere Angela a piazza dell’Unità d’Italia, si mette dietro il pennone portabandiera e, all’arrivo della cancelliera, sbuca fuori esclamando: «Sono qui». La Merkel, allargando le braccia, risponde al «cucù» del Cavaliere con un balbettato e imbarazzato: «Silvio». Certo non è una saluto da ambasciatore con feluca. Ma chi ha fatto in realtà la brutta figura? Criticare il premierato della signora Angela (che difende il welfare state più efficiente dell’universo), non è possibile. Ma è anche vero che ha il senso dell’umorismo di una corazzata in assetto da guerra. È vero anche che Silvio fece attendere la cancelliera al telefono, nel 2009. Ma per un motivo molto, molto importante. In Danimarca sono state pubblicate delle vignette anti-islamiche. Il premier turco, alla testa del partito islamico Akp, dichiara che mai la Turchia voterà per un danese a capo dell’Alleanza Atlantica. Inutili gli interventi degli altri leader mondiali, solo Berlusconi, durante la famosa telefonata, con la Merkel in attesa, riesce a convincere Erdogan a togliere il veto. Cosa gli abbia raccontato è un mistero. Ma ce la fa. Nello stesso periodo il governo italiano sostiene con forza un’iniziativa per la pace a Gaza. In sintonia con Europa e Stati Uniti, il premier Berlusconi mette al servizio della comunità internazionale i suoi ottimi rapporti diplomatici con Israele. A fine 2009 Netanyahu, premier israeliano, ringrazia: «Silvio è un campione di pace». Berlusconi grande amico di Israele (e i rapporti con Tel Aviv sono il termometro della politica estera di un paese), ma è riuscito a mantenere sempre un solido «ponte» anche con il mondo arabo. I rapporti Italia-Libia, ai tempi di Gheddafi, furono oggetto di ironia e critiche. Molti si chiedevano perché il governo a guida Berlusconi facesse di tutto per mantenere vivi i contatti con il colonnello. Oggi, con una Libia frantumata, dalla quale partono ogni giorno centinaia di disperati, appare perfino ovvio il perché di quella politica, che culminò con storico incontro sotto la tenda beduina nel giardino della residenza dell’ambasciatore libico a Roma. Era il 2010, la stampa di sinistra alzò un gran polverone soffermandosi sul lati folkloristici dell’evento. Berlusconi, da statista, commentò: «Chi non capisce che l’amicizia fra Libia e Italia è un vantaggio per tutti, appartiene al passato». Magari l’avessimo difesa quell’amicizia. E poi c’è il capitolo Putin. Quanta buona carta di giornale è stata sprecata per sbeffeggiare i cappelli di pelliccia indossati dai due premier, quante ridicole illazioni sull’amicizia personale tra due capi di Stato. Nel 2008 quell’amicizia servì a congelare e poi risolvere la crisi georgiana. Due «pezzi» dell’ex Unione Sovietica, la Russia e la Georgia, si confrontavano militarmente, con esiti imprevedibili. Berlusconi si frappose e fu ascoltato. In quell’occasione si guadagnò la gratitudine di George Bush, presidente degli Stati Uniti, per il quale quella crisi era una spina nel fianco. E poi il Cav non ha mai fatto errori ortografici scrivendo sul guest book della Casa Bianca, come invece ha fatto Renzi. Tanti e tanti successi, ma se si chiede ai «politicamente corretti» gli episodi più importanti sono l’appellativo «kapò» rivolto dal Cav a Martin Schulz, qualche risata, gli atteggiamenti informali. «Ma mi faccia il piacere!», direbbe Totò.

Antonio Angeli - IL TEMPO

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