martedì

CRAXI: dall'Achille Lauro a Sigonella.


L' Achille Lauro fa rotta per l'Egitto ed attracca a Port Said: alle ore 15.30 del Giovedì, la nave è libera, anche se i passeggeri ancora non possono scendere. Ma solo più avanti nella serata si poterono acquisire conferme indipendenti del crudele delitto: l'ambasciatore Migliuolo era salito a bordo e in presenza di funzionari egiziani cominciò ad ascoltare dal comandante quello che era accaduto. Craxi apprese direttamente della circostanza parlando con il comandante De Rosa in una conversazione telefonica, "qualche minuto prima della conferenza stampa. Craxi ci disse di avvertire subito il nostro ambasciatore Migliuolo incaricandolo di preparare il terreno per una nostra richiesta di estradizione per i quattro dirottatori, poiché il salvacondotto era condizionato all'assenza di ogni fatto di sangue avvenuto sulla nave. De Rosa, certamente per quieto vivere, aveva purtroppo taciuto sull'assassinio di Klinghofer nelle precedenti telefonate col ministero degli Esteri e coi Servizi. Prima ancora di recarsi alla conferenza stampa, Craxi ci dette inoltre istruzioni per informare la Farnesina della nostra conversazione con Migliuolo e chiedere di avviare con la massima urgenza le procedure, d'intesa col ministero della Giustizia, per l'estradizione dei quattro dirottatori, richiesta che egli avrebbe appoggiato direttamente presso il presidente Mubarak".
Bettino Craxi
Il governo egiziano decise di effettuare immediatamente un trasferimento in Tunisia, dove all'epoca l'OLP aveva sede. In realtà, nonostante le assicurazioni pubblicamente offerte nella mattinata del giovedì 10 dal capo di stato egiziano Hosni Mubarak - che dichiara che i terroristi hanno già lasciato l'Egitto - la Casa Bianca dichiara che le affermazioni del presidente egiziano sono in contraddizione con quelle che ha ricevuto dalle proprie fonti. Poco più tardi, un funzionario che si trova sull'aereo di Reagan, in viaggio verso Chicago, informa che i quattro si trovano ancora in un aeroporto ad Al Masa.
In effetti, soltanto nel pomeriggio del giovedì un aereo civile, un Boeing 737 delle linee aeree egiziane fu requisito da parte del governo del Cairo e diventò ufficialmente un mezzo di trasporto di Stato; nella sera, con i quattro dirottatori della motonave e i rappresentanti dell'OLP (ovvero Abu Abbas e Hani el Hassan) salirono a bordo anche un ambasciatore egiziano ed alcuni agenti del servizio di sicurezza egiziano. 
Il volo decollò alle 23:15 (ora del Cairo).
La notte tra Giovedì 10 e Venerdì 11: l'intercettazione ed il confronto militare sulla pista. 
Il presidente statunitense Ronald Reagan, mentre era in volo da Chicago a Washington, decise di accogliere la proposta del Consiglio di sicurezza nazionale degli USA disponendo di intercettare unilateralmente l'aereo utilizzando le informazioni fatte pervenire da Israele: dalla portaerei USS Saratoga decollarono quattro F-14 Tomcat che affiancarono l'aereo poco sopra Malta.
Nel frattempo il Consiglio di Sicurezza Nazionale ed il Dipartimento di Stato USA riuscirono a limitare le opzioni di atterraggio dell'aereo egiziano, chiedendo ai governi di Tunisia, Grecia e Libano di non autorizzare l'atterraggio nei loro aeroporti. Quando il volo EgyptAir stava ormai avvicinandosi alla destinazione, Tunisi comunicò il rifiuto all'autorizzazione di atterraggio. Dal Boeing venne quindi chiesta autorizzazione ad Atene, da dove ricevettero altro rifiuto.
I militari statunitensi entrarono quindi in azione, contattando via radio il Boeing ed eseguendo la procedura di intercettazione, intimando con movimenti d'ala di seguirli: senza previo avvertimento, i caccia americani dirottarono l'aereo egiziano sulla base Naval Air Station Sigonella, in Sicilia.
Intorno alle 22.30 il colonnello Ercolano Annichiarico, che la mattina dopo avrebbe dovuto lasciare il comando della base, era stato avvertito dell'arrivo di una formazione americana. La richiesta, negata, veniva dai Tomcat, a 240 km dallo scalo siciliano, ed atteneva ai soli 4 F-14 ed all'aereo egiziano, nessuna menzione facendosi dei due C-141, né autorizzati né previsti.
Solo a dirottamento iniziato, il governo americano tentò di contattare Craxi. La versione di parte statunitense è che Craxi non rispondeva alle richieste di contatto telefonico e che solo per questo Oliver North si rivolse a Michael Ledeen, consulente della CIA che riuscì a farsi passare Craxi in ragione di antichi rapporti di consuetudine risalenti al suo periodo di perfezionamento universitario italiano. Opposta è la versione dell' entourage di Craxi: «Craxi non aveva molta simpatia per lui, disse: “Non vedo per quale ragione dovrei parlarle, visto che ci sono altre persone qualificate, come l'ambasciatore Rabb”; non voleva attribuire a Ledeen il ruolo di portavoce del Presidente Reagan».
In ogni caso, il colloquio telefonico alla fine ebbe luogo: secondo Ledeen, Craxi gli chiese solo «perché in Italia?» e si accontentò della sua risposta: «per il vostro clima perfetto, la vostra favolosa cucina e le tradizioni culturali che la Sicilia può offrire».
Il presidente del consiglio italiano, contrariato da questa improvvisazione, intendeva consentire l'atterraggio, ma solo a condizione di gestirne le conseguenze autonomamente. In segreto ordinò ai vertici militari che i terroristi e i mediatori fossero messi sotto il controllo delle autorità italiane. L'ammiraglio Fulvio Martini, capo del servizio segreto militare (SISMI), alle 23:57 ricevette una telefonata dal presidente Craxi e su suo ordine prima diede l'ordine di autorizzare l'atterraggio dei 5 velivoli a loro noti, dalla sala controllo dello stato maggiore dell'aeronautica a Roma; poi si recò immediatamente alla base di Sigonella.
L'autorizzazione del Comando italiano all'atterraggio del volo egiziano arrivò solo quando il velivolo aveva già dichiarato emergenza combustibile e appariva evidente che non sarebbe stato in grado materialmente di procedere verso l'aeroporto di Catania Fontanarossa. L'atterraggio avvenne alle 0:15. Il controllore di torre e il suo assistente (all'epoca il controllo del traffico aereo in Italia era gestito interamente dall'Aeronautica Militare), senza ricevere ordini in merito, istruirono di loro iniziativa l'aereo egiziano a parcheggiare sul piazzale lato est (zona italiana). Sia il controllore di torre che il suo assistente erano all'oscuro riguardo l'identità dei passeggeri a bordo del velivolo egiziano: essi però furono i primi ad avvedersi che in silenzio radio ed a fari spenti i 5 velivoli noti erano seguiti dai due C-141; in assenza di informazioni, sotto la propria responsabilità e a proprio rischio e pericolo, assunsero la suddetta decisione su dove dislocare l'aereo, che si rivelò decisiva per i successivi sviluppi. Il controllore in turno e il suo assistente furono le due prime persone italiane di Sigonella a rendersi conto che gli statunitensi volevano far atterrare l'aereo civile sulla base militare, per poi farlo sostare nei pressi dell'aerostazione da loro gestita: preavvisarono quindi dell'atterraggio sia i Carabinieri che i VAM (Vigilanza Aeronautica Militare), il corpo di guardia dell'aeroporto.
Immediatamente confluirono sulla pista 30 avieri VAM e 20 Carabinieri, tutti in forza alla base aerea di Sigonella, circondando l'aereo, come da ordini ricevuti. Pochi minuti dopo atterrarono - a luci spente e senza permesso della torre di controllo - anche due Lockheed C-141 Starlifter americani dei Navy SEAL al comando del generale di brigata aerea Carl W. Stiner, si diressero verso il Boeing egiziano e fu subito chiaro l'intento di prelevare dirottatori e Abu Abbas, secondo gli ordini ricevuti da Washington; le luci della pista furono subito spente. La tensione salì quando i 50 militari dei SEAL, scesi dai C-141 armi in pugno, circondarono gli avieri italiani e i carabinieri, ma a loro volta furono circondati con le armi puntate da altri carabinieri, che erano nel frattempo arrivati dalle vicine caserme di Catania e Siracusa. Il capitano Marzo ricevette dalla torre di controllo l'ordine di posteggiare un'autocisterna, una gru e i mezzi anti incendio chiusi a chiave e piantonati dinanzi ai velivoli onde impedirgli definitivamente di muoversi dalla base. Ognuno si attestò sulle sue posizioni: in quel momento v'erano tre cerchi concentrici attorno all'aereo. Seguirono minuti di altissima tensione.
Stiner - che aveva notizie dagli Stati Uniti in tempo reale grazie ad apparecchiature satellitari - avvertì il colonnello Ercolano Annicchiarico di essere in contatto con lo Studio ovale e dichiarò: «Il governo italiano ha promesso di consegnarci i palestinesi; non capisco la resistenza di voi militari». L'ammiraglio Martini, sia pure con difficoltà, sentì Roma e fece rispondere a Stiner: «Abbiamo istruzioni di lasciarli lì». Le autorità italiane, infatti, restavano attestate sulla linea secondo la quale, in assenza di richiesta di estradizione, non era consentito a nessuno di sottrarre alla giustizia italiana persone sospettate di aver preso parte ad un atto criminale punibile ai sensi della legge italiana.
Da Washington pervennero immediatamente intimazioni rivolte per via diplomatico-militare ai vertici del governo italiano, limitandosi a presentare la questione come un'operazione di polizia internazionale, ma totalmente disconoscendo le diverse priorità imposte dall'ordinamento giuridico italiano. Non avendo ottenuto risposta positiva, il presidente statunitense Reagan, infuriato per il comportamento italiano, si decise a telefonare nel cuore della notte al presidente del Consiglio Craxi per chiedere la consegna dei terroristi; ma Craxi non si mosse dalle sue posizioni: i reati erano stati commessi a bordo di una nave italiana, quindi in territorio italiano, e sarebbe stata l'Italia a decidere se e chi estradare.
Alle 5:30, quando il generale dei carabinieri Bisogniero fece intervenire a Sigonella (su ordine di Craxi) i blindati dell'Arma ed altri rinforzi, il reparto d'attacco americano ricevette l'ordine di rientrare. A Reagan, dinanzi alla posizione italiana, non era rimasto che cedere e ritirare gli uomini da Sigonella, confidando nella volontaria attuazione delle promesse che riteneva di aver ottenuto nel corso della telefonata con Craxi.

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